Si intitola Norah Borges. Una mujer en la vanguardia, la si può visitare fino al
marzo del 2020 nel Museo de Bellas Artes di Buenos Aires e si presenta come qualcosa
di più che una mostra antologica dedicata a un’artista insolita: le duecento opere
recuperate con pazienza dal curatore Sergio Baur ed esposte insieme a fotografie,
volumi rari, citazioni, alludono infatti anche alla storia culturale di una città
e ai legami tra “due rive” unite da una lingua comune, ma separate da un oceano
e da storici rancori.
Nata nel 1901 e morta nel 1998, nel corso della
sua lunga vita Norah partecipò alle avanguardie degli anni ’20, visse l’effervescenza
culturale della Repubblica spagnola e l’esodo dei rifugiati dopo la vittoria di
Franco, conobbe i più importanti letterati e artisti del ’900, vide l’inizio di
grandi avventure editoriali e letterarie, assistette a radicali cambiamenti politici
e andò brevemente in carcere per “aver dato scandalo” nella pubblica via insieme
alla madre Leonor, gridando slogan contro Perón. Ma soprattutto, a partire dall’adolescenza,
non si stancò di produrre magnifiche xilografie, dipinti a olio, tempera e acquarello,
mappe splendide ed evocative, innumerevoli illustrazioni destinate a riviste come
Proa, Prisma e Martín Fierro, o ad accompagnare
le prime edizioni di autori famosi, quali Silvina Ocampo, Adolfo Bioy Casares, Alfonso
Reyes, Juan Ramón Jiménez, Federico García Lorca, Julio Cortázar.
Tra quanti chiedevano la sua collaborazione,
i più assidui furono il marito Guillermo de Torre - brillante critico letterario,
storico delle avanguardie e anima della casa editrice Losada, fondata dagli esuli
spagnoli - e il celeberrimo fratello maggiore Jorge Luis detto Georgie, le cui ombre
imponenti si proiettano sulla vita e l’opera di Norah, tanto che parlare di lei
significa inevitabilmente evocarle: non a caso la mostra espone, accanto ai molti
ritratti di Guillermo, un’immagine di Borges a grandezza naturale, seduto davanti
a un’Annunciazione dipinta dalla sorella.
Quando Norah era una bambina audace, pronta
ad arrampicarsi sugli alberi e a trascinare il timido fratello in giochi fantasiosi,
il loro legame era stato strettissimo, quasi simbiotico, e tale era rimasto durante
l’adolescenza e la prima giovinezza, trascorse fra Spagna e Svizzera per cercare
inutilmente un rimedio all’imminente cecità paterna. In quegli anni, decisivi per
la loro formazione, i ragazzi Borges avevano scoperto le rispettive vocazioni e
frequentato artisti e scrittori (anche se Norah non aveva il permesso di seguire
Georgie nei caffé dove ci si riuniva per discutere: un territorio tutto maschile,
vietato a una signorina), e nel 1919, dopo l’adesione di entrambi all’ultraismo,
era avvenuto l’incontro con il madrileno de Torre, immediatamente colpito dal talento
della giovanissima artista, collaboratrice assidua delle riviste di avanguardia.
Dopo il ritorno della famiglia in Argentina
e un lungo fidanzamento, i due si sposarono nel 1928, “proprio come in un romanzo
da quattro soldi”, fu il commento sprezzante di Georgie, e da allora Norah dovette
barcamenarsi tra due uomini che si detestavano, mentre una distanza sempre più percettibile,
anche se affettuosa, la separava dal fratello (Bioy Casares non mancò di registrare
nel suo diario i perfidi commenti di Borges su Guillermo, che a sua volta lo riteneva
“nazionalista, xenofobo, sdegnoso di tutto ciò che significa stile moderno e sensibilità
contemporanea”). Jorge Luis non perdonò mai
al cognato di avergli rubato la sorella, portandola con sé nella Spagna repubblicana
dove Norah strinse rapporti con donne formidabili come la poetessa Carmen Conde
e la pittrice Maruja Mallo, frequentò il femminista Lyceum Club e creò costumi per
la Barraca di Garcia Lorca. Furono, quelli, gli anni più intensi della sua vita,
presto interrotti dalla guerra civile, dalla fuga a Parigi e dal definitivo ritorno
in Argentina, che accentuò un distacco dall’avanguardia già latente nel 1921, quando
i Borges avevano rimesso piede in una Buenos Aires quasi irriconoscibile, proiettata
verso una modernità “periferica” ma tumultuosa.
Dopo il progressivo abbandono della xilografia
e delle influenze surrealiste o cubiste, che il percorso della mostra non manca
di mettere in evidenza, la nuova poetica di Norah venne annunciata con chiarezza
in un suo scritto del 1927 per la rivista Martín
Fierro, intitolato Un cuadro sinoptico de la pintura: “Può dare gioia solo la rappresentazione di un mondo perfetto
dove tutto sia ordinato, dai contorni nitidi, dai colori limpidi, dalle forme definite…”.
Una sorta di ritorno all’ordine che probabilmente coincide con l’inizio di un personale
viaggio introspettivo, e che molti attribuiscono all’influenza di de Torre, pronto
a esaltare la “sensibilità femminile” della fidanzata, e agli echi di un clima culturale
la cui più vistosa espressione fu il saggio El nuevo romanticismo di José
Díaz Fernández (influente giornalista e scrittore, nonché fondatore della rivista
repubblicana Nueva España), a favore della riumanizzazione dell’arte e del ritorno
a una femminilità tradizionale.
Nella quiete
della sua casa, Norah proseguì una straordinaria e mai abbastanza lodata attività
di illustratrice e continuò a sviluppare un’opera pittorica sempre
più lontana dal mondo reale e dai suoi conflitti, creando un universo a colori pastello
fatto di interni spogli, giardini chiusi, edifici geometrici ornati da balaustre,
luoghi dove è sempre estate e nulla invecchia o si guasta, popolati da ragazze sognanti
e bambini, sirene, coppie di innamorati (tutte le figure maschili assomigliano a
un Guillermo per sempre giovane) e angeli musicanti, espressione di un sentimento
religioso già presente nelle incisioni giovanili e diventato via via più forte.
Moglie e madre impeccabile che per dipingere
si accontentava di un angolo della biblioteca domestica, sorella devota che, nonostante
i due volumi di poesie pubblicati in Europa, aveva rinunciato alla scrittura per
non “invadere il territorio” del fratello – lo afferma Jorge Luis nel breve e tardivo
omaggio contenuto in un libretto del 1977, apparso prima in italiano che in spagnolo
–, pittrice “della grazia e della tenerezza”, Norah sembrava dunque corrispondere alle aspettative della società, della famiglia, degli
intellettuali che all’epoca proiettavano un’immagine di delicata femminilità su
scrittrici e artiste, contrapponendola alla “debordante sensualità ostentata da
alcune poetesse”, come la plebea e autodidatta Alfonsina Storni, l’anarchica Salvadora
Medina Onrubia e le uruguayane Juana de Ibarbouru e Demira Agustini, i cui temi
erano il desiderio e la libertà di viverlo ed esprimerlo.
In Norah Borges: la avanguardia
enmascarada, May Lorenzo Alcalá suggerisce tuttavia che l’obbedienza alle soavi
convenzioni di un’arte al femminile fosse solo un travestimento, e invita a cogliere
l’inquietante ambiguità delle figure dipinte da Norah, androgine e asessuate, irraggiungibili
e assorte: le bocche, così minuscole da scomparire, non sorridono mai, gli occhi
fissano ignote lontananze, i paesaggi urbani hanno un che di metafisico, l’armonia
nasconde innumerevoli segreti. L’arte di Norah Borges è misteriosa, sfuggente, nega
la propria ingenuità proprio mentre la esibisce, e la sua luce tiene così ostentatamente
a bada l’oscurità che non può fare a meno di evocarla.
Biografi e amici ricordano
come il fratello maggiore usasse affermare che l’odiatissimo cognato aveva confinato
Norah nell’ombra domestica, convincendola ad anteporre la famiglia all’arte, ma
Estela Canto – uno dei più noti tra gli amori infelici di Jorge Luis, che le dedicò
El Aleph – sostiene in un suo libro di memorie che Borges non capì mai la
felice ritrosia di sua sorella, né si rese conto che Guillermo si era limitato ad
accettarne la volontà e il bisogno di solitudine (come Silvina Ocampo, della quale
era grande amica, anche lei avrebbe potuto dire: “Non sono socievole, sono intima”).
Tutt’altro che passiva e manipolabile, nascosta dietro la sua “maschera”, Norah
riuscì a dipingere indisturbata, ricavandosi uno spazio tra le potenti figure maschili
che la attorniavano; e mentre lei si allontanava dalla scena pubblica, da ogni mondanità
e dalle esigenze del mercato, Borges diventava il più mediatico degli scrittori,
fino a trasformarsi in un’icona pop. È inevitabile chiedersi, allora, se il silenzio
così raramente interrotto che avvolge ancora oggi l’esistenza e l’opera di Norah
Borges non sia il frutto della scelta di percorrere senza compromessi la propria
strada, sottraendosi con mite fermezza alle richieste del mondo.
Questo articolo è apparso
sul quotidiano Il manifesto nel gennaio del 2020