giovedì 30 aprile 2020

Da leggere: Santiago Lorenzo



Santiago Lorenzo


Manuel, o della misantropia felice

Mentre scriveva Los asquerosos, romanzo pubblicato nel 2018 dalla barcellonese Blackie Books, Santiago Lorenzo non poteva certo immaginare che, contemporaneamente all’apparizione del suo libro (Gli schifosi, Blackie Edizioni, pag. 227, e. 18,60) presso un “cugino” milanese dell’editore catalano, i potenziali lettori italiani si sarebbero trovati nelle stesse condizioni di Manuel, il protagonista, proiettato in un improvviso e totale isolamento. Tra il suo confino e quello che ha sconvolto la nostra vita quotidiana c’è però una sostanziale differenza: a causarlo non è la furia di un virus sconosciuto, ma quella di un agente antidisturbios in assetto di guerra, pronto a massacrare di botte l’innocente giovanotto, che, nonostante l’esilità e la piccola statura, riesce a piantargli nel collo il cacciavite-feticcio da cui non si separa mai. Ecco perché, convinto di avere ucciso l’aggressore, Manuel lascia precipitosamente Madrid – dove, nonostante la laurea in ingegneria, vive di lavoretti mal pagati – e raggiunge con la sua vecchia auto un villaggio in mezzo al nulla: pochi edifici abbandonati, una fontana gocciolante, alberi e campi a perdita d’occhio.

Installato in una casa senza elettricità né acqua, e tuttavia provvista di qualche mobile sconquassato e di un centinaio di volumi della leggendaria collana tascabile Austral, Manuel si mantiene in contatto con uno zio acquisito, l’unica persona al mondo che sembra volergli bene e che gli assicura un modesto rifornimento a domicilio, consegnato da un fattorino invisibile. Sarà proprio la voce dello zio (“doppio” anziano e rassegnato del fuggitivo) a narrare i mesi in cui il nipote non vede anima viva, esprimendo dapprima il timore che, privato di qualsiasi presenza, finisca per esplodere, e poi lo stupore per la sua rapida accettazione della solitudine. A poco a poco, infatti, Manuel dispiega un’illimitata curiosità per ciò che ha intorno, fa in un certo senso conoscenza con sé stesso, constata di poter fare a meno quasi di tutto, trova un senso al disagio e all’estraneità che hanno connotato i suoi rapporti affettivi e sociali, scoprendo di possedere il gene di una felice misantropia… finché il bozzolo perfetto in cui si è rinchiuso viene infranto da uno spaventoso clan di vacanzieri della domenica, che restaura e occupa la casa accanto e, un week-end dopo l’altro, lo costringe a nascondersi, suscitandogli “uno schifo di portata continentale” e spingendolo a pianificare una vendetta conclusa da una sorta di clamoroso fuoco d’artificio.

Il territorio in cui la storia è ambientata – la cosiddetta España vacía, ovvero le zone rurali ormai spopolate, al centro non da oggi di un preoccupato dibattito –, è ben noto a Santiago Lorenzo, che, un tempo regista di pregevoli “corti” e di un film (Mamá es boba) molto amato dai cinefili, e in seguito creatore di plastici per il cinema e la pubblicità, da dieci anni ha lasciato Madrid per uno sperduto paesino castigliano con meno di trenta abitanti, nel cuore della “Spagna vuota”. Là è nato questo suo quarto romanzo, di innegabile originalità e di scrittura insolita, che unisce un solido impianto narrativo e un tagliente umorismo a un linguaggio intessuto di vocaboli ricercati e desueti, di espressioni gergali che non disdegnano un disinvolto turpiloquio e di neologismi scintillanti, creati ad hoc e affrontati con perizia e inventiva da Bruno Arpaia, cui dobbiamo una vivacissima traduzione.

Ironico e agro quanto gli altri libri dell’autore (Los millones, su un terrorista in clandestinità, vincitore di un ricco premio della lotteria che non può rivendicare; Los huerfanitos, su tre fratelli che odiano il teatro e ne ereditano uno; Las ganas, su una lunghissima astinenza sessuale), ma più maturo e risolto, in Spagna Gli schifosi ha avuto un grande e inatteso successo di vendite, forse perché è raro imbattersi in un libro così divertente e al tempo stesso capace di collegare e raccontare senza sconti la crisi economica, la precarietà, l’impresentabile ley mordaza del governo Rajoy, le necessità artificiali create dal consumo, la legittimazione della volgarità, l’umiliante mancanza di prospettive imposta dal mercato, il turismo predatorio, la disintegrazione del linguaggio a colpi di frasi fatte, il narcisismo invasivo dei social, la soddisfatta banalità dei libri di autoaiuto.

Nonostante il romanzo contenga una critica fintamente svagata, ma feroce, a mostruosità e disastri del presente, Manuel non è disegnato come un ambientalista, un moralista o un esempio di coscienza politica, e, nonostante le apparenze, non assomiglia a Robinson Crusoe, paradigma dell’industrioso colono occidentale, né condivide l’utopia del Walden di Thoreau (non sembra ingiustificato, in realtà, il sospetto che in Gli schifosi ci sia un’ombra di parodia di entrambi i testi, oltre che della moderna nature writing). Lo si può considerare, piuttosto, un antieroe che trasforma il suo naufragio in catarsi, voltando le spalle a una solitudine affollata per sceglierne un’altra “su misura” che include voluttuose regressioni infantili, gioie segrete, pigrizie, goffaggini, fallimenti e trionfi dei quali non va dato conto neppure a sé stessi, e anche un cauto ricorso alla tecnologia, pur di proteggere un’esistenza la cui principale ricchezza è il tempo. Tempo da scialacquare, tempo di cui disporre a piacimento e che Manuel intende tenere tutto per sé, seguendo il filo di una coerenza estrema: “un eremita senza testimoni che certifichino le sue opere, un eremita con tanta voglia di stare da solo che non ammette nel suo ambito nemmeno la presenza di Dio”.
  
Questo articolo è apparso sul quotidiano Il manifesto nell’aprile del 2020