lunedì 13 gennaio 2020

Storie e Ritratti: Norah Borges

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Norah Borges


Un silenzio raramente interrotto

Si intitola Norah Borges. Una mujer en la vanguardia, la si può visitare fino al marzo del 2020 nel Museo de Bellas Artes di Buenos Aires e si presenta come qualcosa di più che una mostra antologica dedicata a un’artista insolita: le duecento opere recuperate con pazienza dal curatore Sergio Baur ed esposte insieme a fotografie, volumi rari, citazioni, alludono infatti anche alla storia culturale di una città e ai legami tra “due rive” unite da una lingua comune, ma separate da un oceano e da storici rancori.

Nata nel 1901 e morta nel 1998, nel corso della sua lunga vita Norah partecipò alle avanguardie degli anni ’20, visse l’effervescenza culturale della Repubblica spagnola e l’esodo dei rifugiati dopo la vittoria di Franco, conobbe i più importanti letterati e artisti del ’900, vide l’inizio di grandi avventure editoriali e letterarie, assistette a radicali cambiamenti politici e andò brevemente in carcere per “aver dato scandalo” nella pubblica via insieme alla madre Leonor, gridando slogan contro Perón. Ma soprattutto, a partire dall’adolescenza, non si stancò di produrre magnifiche xilografie, dipinti a olio, tempera e acquarello, mappe splendide ed evocative, innumerevoli illustrazioni destinate a riviste come Proa, Prisma e Martín Fierro, o ad accompagnare le prime edizioni di autori famosi, quali Silvina Ocampo, Adolfo Bioy Casares, Alfonso Reyes, Juan Ramón Jiménez, Federico García Lorca, Julio Cortázar.

Tra quanti chiedevano la sua collaborazione, i più assidui furono il marito Guillermo de Torre - brillante critico letterario, storico delle avanguardie e anima della casa editrice Losada, fondata dagli esuli spagnoli - e il celeberrimo fratello maggiore Jorge Luis detto Georgie, le cui ombre imponenti si proiettano sulla vita e l’opera di Norah, tanto che parlare di lei significa inevitabilmente evocarle: non a caso la mostra espone, accanto ai molti ritratti di Guillermo, un’immagine di Borges a grandezza naturale, seduto davanti a un’Annunciazione dipinta dalla sorella.

Quando Norah era una bambina audace, pronta ad arrampicarsi sugli alberi e a trascinare il timido fratello in giochi fantasiosi, il loro legame era stato strettissimo, quasi simbiotico, e tale era rimasto durante l’adolescenza e la prima giovinezza, trascorse fra Spagna e Svizzera per cercare inutilmente un rimedio all’imminente cecità paterna. In quegli anni, decisivi per la loro formazione, i ragazzi Borges avevano scoperto le rispettive vocazioni e frequentato artisti e scrittori (anche se Norah non aveva il permesso di seguire Georgie nei caffé dove ci si riuniva per discutere: un territorio tutto maschile, vietato a una signorina), e nel 1919, dopo l’adesione di entrambi all’ultraismo, era avvenuto l’incontro con il madrileno de Torre, immediatamente colpito dal talento della giovanissima artista, collaboratrice assidua delle riviste di avanguardia.

Dopo il ritorno della famiglia in Argentina e un lungo fidanzamento, i due si sposarono nel 1928, “proprio come in un romanzo da quattro soldi”, fu il commento sprezzante di Georgie, e da allora Norah dovette barcamenarsi tra due uomini che si detestavano, mentre una distanza sempre più percettibile, anche se affettuosa, la separava dal fratello (Bioy Casares non mancò di registrare nel suo diario i perfidi commenti di Borges su Guillermo, che a sua volta lo riteneva “nazionalista, xenofobo, sdegnoso di tutto ciò che significa stile moderno e sensibilità contemporanea”). Jorge Luis non perdonò mai al cognato di avergli rubato la sorella, portandola con sé nella Spagna repubblicana dove Norah strinse rapporti con donne formidabili come la poetessa Carmen Conde e la pittrice Maruja Mallo, frequentò il femminista Lyceum Club e creò costumi per la Barraca di Garcia Lorca. Furono, quelli, gli anni più intensi della sua vita, presto interrotti dalla guerra civile, dalla fuga a Parigi e dal definitivo ritorno in Argentina, che accentuò un distacco dall’avanguardia già latente nel 1921, quando i Borges avevano rimesso piede in una Buenos Aires quasi irriconoscibile, proiettata verso una modernità “periferica” ma tumultuosa.

Dopo il progressivo abbandono della xilografia e delle influenze surrealiste o cubiste, che il percorso della mostra non manca di mettere in evidenza, la nuova poetica di Norah venne annunciata con chiarezza in un suo scritto del 1927 per la rivista Martín Fierro, intitolato Un cuadro sinoptico de la pintura: “Può dare gioia solo la rappresentazione di un mondo perfetto dove tutto sia ordinato, dai contorni nitidi, dai colori limpidi, dalle forme definite…”. Una sorta di ritorno all’ordine che probabilmente coincide con l’inizio di un personale viaggio introspettivo, e che molti attribuiscono all’influenza di de Torre, pronto a esaltare la “sensibilità femminile” della fidanzata, e agli echi di un clima culturale la cui più vistosa espressione fu il saggio El nuevo romanticismo di José Díaz Fernández (influente giornalista e scrittore, nonché fondatore della rivista repubblicana Nueva España), a favore della riumanizzazione dell’arte e del ritorno a una femminilità tradizionale.

Nella quiete della sua casa, Norah proseguì una straordinaria e mai abbastanza lodata attività di illustratrice e continuò a sviluppare un’opera pittorica sempre più lontana dal mondo reale e dai suoi conflitti, creando un universo a colori pastello fatto di interni spogli, giardini chiusi, edifici geometrici ornati da balaustre, luoghi dove è sempre estate e nulla invecchia o si guasta, popolati da ragazze sognanti e bambini, sirene, coppie di innamorati (tutte le figure maschili assomigliano a un Guillermo per sempre giovane) e angeli musicanti, espressione di un sentimento religioso già presente nelle incisioni giovanili e diventato via via più forte.

Moglie e madre impeccabile che per dipingere si accontentava di un angolo della biblioteca domestica, sorella devota che, nonostante i due volumi di poesie pubblicati in Europa, aveva rinunciato alla scrittura per non “invadere il territorio” del fratello – lo afferma Jorge Luis nel breve e tardivo omaggio contenuto in un libretto del 1977, apparso prima in italiano che in spagnolo –, pittrice “della grazia e della tenerezza”, Norah sembrava dunque corrispondere alle aspettative della società, della famiglia, degli intellettuali che all’epoca proiettavano un’immagine di delicata femminilità su scrittrici e artiste, contrapponendola alla “debordante sensualità ostentata da alcune poetesse”, come la plebea e autodidatta Alfonsina Storni, l’anarchica Salvadora Medina Onrubia e le uruguayane Juana de Ibarbouru e Demira Agustini, i cui temi erano il desiderio e la libertà di viverlo ed esprimerlo.

In Norah Borges: la avanguardia enmascarada, May Lorenzo Alcalá suggerisce tuttavia che l’obbedienza alle soavi convenzioni di un’arte al femminile fosse solo un travestimento, e invita a cogliere l’inquietante ambiguità delle figure dipinte da Norah, androgine e asessuate, irraggiungibili e assorte: le bocche, così minuscole da scomparire, non sorridono mai, gli occhi fissano ignote lontananze, i paesaggi urbani hanno un che di metafisico, l’armonia nasconde innumerevoli segreti. L’arte di Norah Borges è misteriosa, sfuggente, nega la propria ingenuità proprio mentre la esibisce, e la sua luce tiene così ostentatamente a bada l’oscurità che non può fare a meno di evocarla.

Biografi e amici ricordano come il fratello maggiore usasse affermare che l’odiatissimo cognato aveva confinato Norah nell’ombra domestica, convincendola ad anteporre la famiglia all’arte, ma Estela Canto – uno dei più noti tra gli amori infelici di Jorge Luis, che le dedicò El Aleph – sostiene in un suo libro di memorie che Borges non capì mai la felice ritrosia di sua sorella, né si rese conto che Guillermo si era limitato ad accettarne la volontà e il bisogno di solitudine (come Silvina Ocampo, della quale era grande amica, anche lei avrebbe potuto dire: “Non sono socievole, sono intima”). Tutt’altro che passiva e manipolabile, nascosta dietro la sua “maschera”, Norah riuscì a dipingere indisturbata, ricavandosi uno spazio tra le potenti figure maschili che la attorniavano; e mentre lei si allontanava dalla scena pubblica, da ogni mondanità e dalle esigenze del mercato, Borges diventava il più mediatico degli scrittori, fino a trasformarsi in un’icona pop. È inevitabile chiedersi, allora, se il silenzio così raramente interrotto che avvolge ancora oggi l’esistenza e l’opera di Norah Borges non sia il frutto della scelta di percorrere senza compromessi la propria strada, sottraendosi con mite fermezza alle richieste del mondo.

 
Questo articolo è apparso sul quotidiano Il manifesto nel gennaio del 2020