mercoledì 11 marzo 2020

Da leggere: Heridas




Una pugnalata alle spalle

Nell’edizione originale si chiama Puñalada trapera (Editorial Rey Naranjo, 2017), ossia “Pugnalata alle spalle” e in quella italiana Heridas, cioè “Ferite” (gran vía, pp. 284, e. 16): entrambi titoli perfetti per l’antologia curata da Maria Cristina Secci, autrice dell’ottima prefazione e coordinatrice di un gruppo di giovani traduttori suoi allievi.

Nel volume troviamo i nomi di ventidue scrittori nati in Colombia tra il 1972 e il 1985, ben pochi dei quali già tradotti in Italia (tra tutti, da ricordare Cárdenas e l’ammirevole Margarita García Robayo) ma sempre di considerevole interesse, che con i loro racconti ci forniscono un quadro attendibile della letteratura di un paese sovrastato dall’ombra immensa di Gabriel García Márquez, cui è toccato l’ingrato ruolo di mettere in secondo piano, almeno agli occhi dei lettori non colombiani, alcune generazioni di autori più che eccellenti. Il libro è una vera e propria mappa che consente di esplorare la nuova narrativa colombiana e testimonia non solo della sua buona salute, ma anche della grande varietà stilistica e tematica che la connota. Senza dimenticare alcune lezioni del passato (in primo luogo quella che ha aperto una cultura per lungo tempo “chiusa” a influenze e contaminazioni di ogni genere: apertura accentuata dal vero e proprio fenomeno migratorio che sembra coinvolgere tanti scrittori latinoamericani), i diversi autori si allontanano ciascuno a suo modo da tenaci stereotipi, adottano audaci registri linguistici e si accostano con estrema cautela al tema della violenza, che ha così profondamente segnato la letteratura colombiana: un argomento che non si può ignorare, e che tuttavia si riduce spesso a un rumore di fondo, a un dettaglio minimo, a una presenza sotterranea, raramente esplicitata. Un’antologia, in conclusione, che, come nota nell’introduzione Maria Cristina Secci, si può definire “generazionale” e che invita gli editori a osare nuove traduzioni da proporre a lettori felicemente curiosi.

 

Questo articolo è apparso sul quotidiano Il manifesto nel marzo del 2020