Ragazze alla finestra
“Esaltazione nazionalista, glorificazione dello
spirito e delle virtù militari, fervente cattolicesimo, ispanità, preferenza per
forme e stili classici e tradizionali furono i principi che in una primo momento
definirono la cultura franchista”: cosi Francisco Calvo Serraller e Juan Pablo Fusi,
nel loro saggio El espejo del Tiempo, annunciano l’avvio del rigido controllo
e dell’onnidivorante propaganda che negli anni del dopoguerra sembrò travolgere
la letteratura e le arti spagnole. Sotto la funerea superficie della cultura ufficiale,
alla quale molti si erano sottratti con l’esilio, scorreva però l’energia non del
tutto clandestina della cosiddetta Generación del Medio Siglo, ovvero
degli scrittori che cominciarono a farsi avanti negli anni cinquanta e diedero vita
a pubblicazioni effimere ma fondamentali, per esempio la «Revista Española» fondata
nel 1953 da Rafael Sánchez Ferlosio, Alfonso Sastre
e Ignacio Aldecoa: sei numeri soltanto, ma capaci di influenzare la letteratura
dell’epoca con una proposta che attingeva al neorealismo italiano, al nouveau roman e alla convinzione che nella
Spagna franchista il senso della scrittura
coincidesse con una cruda testimonianza della realtà nazionale, criticata in profondità
e narrata con un linguaggio oggettivo e disadorno.
Nelle foto che ritraggono
i membri del gruppo, straordinariamente giovani e con una vaga aria di sfida, a
colpire è la mancanza di volti femminili, come se la politica del regime, indirizzata
a fare delle cultura una “faccenda maschile”, avesse pienamente raggiunto il suo
scopo. Alla rivista non mancavano però le collaboratrici, alcune delle quali avrebbero
dato un contributo di enorme importanza alla letteratura spagnola del novecento:
fra queste Ana Maria Matute e, soprattutto, Carmen Martín Gaite – nata a Salamanca
nel 1925 –, che nell’arco di cinquant’anni avrebbe disegnato un personalissimo itinerario
di narratrice, saggista, traduttrice, commediografa e poeta.
Tradotta da noi tardivamente e solo in parte,
quando era ormai celebre e la sua traiettoria letteraria era da tempo oggetto di
un ampio approfondimento critico sia in Europa che negli Stati Uniti, da quasi un
decennio l’opera di Martín Gaite è assente dalle nostre librerie, dov’era approdata
tramite La Tartaruga e la collana Astrea della Giunti, e soltanto oggi ci viene
offerta, nell’ottima traduzione di Elisabetta Sarmati, la versione italiana di Entre
visillos, Attraverso le tendine (Voland,
pp. 270, e. 17), il suo primo romanzo, datato 1958. Nel collocarlo in un preciso
contesto, quello dei fermenti letterari del dopoguerra, Sarmati ci ricorda come
Martín Gaite abbia imparato, in seno al gruppo della «Revista Española», “a coltivare
una scrittura di taglio oggettivista”, “a osservare con attenzione la realtà̀ e
ad ascoltarla”, anche se, dichiarò la stessa scrittrice, Attraverso le tendine rimase il suo unico, vero contributo al realismo
sociale, della cui presenza troviamo scarsa traccia nei testi precedenti e che nei
successivi si affievolirà sino a scomparire, lasciandole in eredità una grande precisione
di linguaggio, arricchita da intense suggestioni poetiche.
Romanzo corale, Attraverso le tendine si apre con l’arrivo del giovane professore Pablo
Klein e si chiude con la sua partenza, ritraendo, nell’arco quattro mesi, la vita
quotidiana di un gruppo di ragazze degli anni Cinquanta che, in una città imprecisata
nella quale è facile riconoscere Salamanca, sembrano incarnare i valori imposti
dal regime attraverso Chiesa, famiglia, scuola, l’onnipresente Sección Femenina
governata da Pilar Primo de Rivera e l’insistente propaganda veicolata anche dalla
stampa popolare e da una diffusissima letteratura rosa. Private del diritto di proprietà,
espulse dal mondo del lavoro, soggette all’assoluta autorità maschile, scoraggiate
dall’avventurarsi troppo nel periglioso territorio della cultura e dell’istruzione,
condannate al ruolo unico di moglie e madre, le giovani donne che popolano il romanzo
attendono impazienti l’arrivo di un buon partito e, nel frattempo, imparano le arti
domestiche e chiacchierano con le amiche, in un ambiente provinciale che lo sguardo
“straniero” di Pablo ci svela come paralizzante e oppressivo.
Chiuse in una “prigione di
tendine” (Cárcel de visillos era il titolo di una prima versione breve, poi scartata),
le ragazze osservano il mondo esterno dalla finestra – insieme allo specchio, immagine
e simbolo tra i più presenti nell’opera di Martín Gaite – soglia che le separa dal
mondo e che però simboleggia anche una via di fuga e la possibilità di sognare un
futuro diverso, come accade a Natalia, adolescente che trova in Pablo un interlocutore
e progetta per sé un’altra vita. È lei, tra tutte, l’unica pronta a portare fino
in fondo una ribellione sommessa ma decisa (studiare, andarsene, scegliere), libera
dalla rassegnazione inconsapevole che induce le altre a obbedire; ed è sua la voce
che, attraverso pagine di diario, si alterna a quelle di Pablo e di un narratore
ignoto e onnisciente.
È subito chiara, in questa opera giovanile
eppure singolarmente compiuta, la presenza di un sottile discostamento dai canoni
del realismo sociale, a segnalare come l’autrice stesse mettendo le basi di una
complessa poetica che si sarebbe dispiegata per intero solo nelle opere successive,
raggiungendo il culmine vent’anni dopo, con il magnifico e inclassificabile El
cuarto de atrás (La stanza dei giochi,
La Tartaruga 1993), “non-romanzo” in cui vengono liberamente utilizzati generi diversi
e che apparve, non a caso, mentre la Spagna usciva finalmente dalla lunga notte
franchista. Sono già percettibili, infatti, le caratteristiche future di un’opera
vasta, appassionante e singolare: la minuziosa analisi psicologica, l’attenzione
costante e indagatrice per la condizione femminile, la costruzione dell’io attraverso
la memoria, la presenza del “doppio”, la ricerca assidua di un interlocutore ideale,
l’accenno a una corposa intertestualità. Manca soltanto quell’innesto del fantastico
nel reale che in seguito diventerà un elemento chiave e che possiamo rintracciare
in El libro de la fiebre, elaborato nel 1949 ma di pubblicazione postuma,
che l’autrice accantonò anche, ma non solo, per il parere negativo di Sánchez Ferlosio, con il quale si sarebbe sposata
nel 1953.
Non solo: a chi conosca l’opera di Martín Gaite
appare evidente che, sin dagli inizi, l’autrice abbia teso fra le proprie opere
fili sottilissimi, a partire dalle autocitazioni e dalle memorie personali fino
alla presenza di luoghi e oggetti-simbolo, abilmente tessuti nelle trame fino a
comporre una sorta di sottotesto, così che opere diverse sembrano completarsi a
vicenda. Come non vedere, per esempio, il legame di Attraverso le tendine con Usos amorosos de la posguerra, saggio
avvincente sull’educazione sentimentale nella Nueva España di Franco, o la riproposizione
in La stanza dei giochi di ambienti, atmosfere
e ricordi salmantini riletti alla luce della maturità, o ancora l’approfondirsi,
in Nuvolosità variabile, di un tema quale
l’amicizia femminile, obliquamente insinuato nel romanzo del ’58? E non si intitola
forse Desde la ventana il volume in cui Martín Gaite raccolse nel 1987 i
suoi saggi sulle scrittrici spagnole, definite innanzitutto come donne ventaneras?
Trame e motivi che si giustappongono o si intrecciano come in un perfetto lavoro
di cucito, non a caso un altro dei simboli fondanti di una scrittura dall’alta densità
metaforica.
Questo articolo è apparso sul quotidiano Il
manifesto nel maggio del 2020