Miguel Martínez del Arco |
L’allegria come orizzonte
Figlia di una
ragazza madre analfabeta, unica della sua famiglia ad arrivare fino alle soglie
dell’università, comunista sin da giovanissima, imprigionata a ventun anni,
uscita dalle carceri franchiste a quaranta, compagna per sempre di Ángel Martínez, dirigente
sindacale di cui si innamorò durante il loro comune processo (tra tutti e due scontarono
complessivamente quarantaquattro anni), Manoli del Arco è stata una militante
fino all’ultimo giorno della sua vita, che ha incluso fughe rocambolesche,
false identità, resistenza mai piegata, costante attività politica e sociale.
Ed è stata anche una madre, perché nonostante le lesioni all’utero provocate
dalla tortura, una volta ritrovato il suo compagno ha avuto un figlio che ha
trascorso l’infanzia e la prima adolescenza in una Spagna mai stanca di
perseguitare i suoi genitori, usciti di prigione solo per “entrare in un
carcere più grande”, almeno fino a una Transizione ipocritamente pacificatrice.
Manoli è
scomparsa nel 2006 a ottantasei anni, e in questi giorni suo figlio, il
sociologo Miguel Martínez del Arco, ha presentato a Madrid Memoria del frío (Hoja de
lata, pp. 448, e. 22.90, prefazione di Edurne Portela), un poderoso romanzo-verità
sulla storia della madre ispirato dalle cinquemila lettere che i genitori si
scambiarono da carcere a carcere, e in cui trova ampio spazio la comunità di prigioniere
pronte a creare, nel luogo in cui venivano umiliate, affamate, vessate, legami
di sorellanza e mutuo appoggio, escogitando stratagemmi per comunicare con l’esterno,
studiando e discutendo, condividendo ogni cosa. “Femministe, lo sapessero o no”,
dice Miguel, che dedica il libro “Alla memoria di mia madre e delle sue
amiche/compagne che hanno resistito al franchismo e ci hanno lasciato in
eredità la capacità di ridere”. Perché oltre alla “disobbedienza, la
ribellione, l’opposizione all’ordine esistente, la possibilità di migliorare,
la cura, la lotta contro l’ignoranza e l’ingiustizia”, a connotare queste formidabili
donne è stato lo sguardo verso il futuro, avendo “l’allegria come orizzonte”. Ricordare che tutto questo è davvero accaduto,
al di là di una memoria ufficiale omissiva, stanca e imbalsamata, sembra oggi un
dovere ineludibile, in una Spagna che (proprio come il nostro paese) non ha mai
fatto i conti fino in fondo con il passato.
Questo
articolo è apparso sul quotidiano Il manifesto nell’ottobre del 2021