Antonio Orejudo |
I pericoli di viaggiare in treno
Nato a Madrid nel 1963, Antonio
Orejudo appartiene a una generazione di scrittori che si sono mossi in ordine
sparso, evitando di aderire a teorie e poetiche più o meno omogene e sottraendosi
tanto al realismo sociale del dopoguerra quanto allo sperimentalismo più
audace. Tra tutti, Orejudo è quello che più sembra rifarsi a una grande
tradizione letteraria che conosce a fondo (insegna letteratura spagnola all’Università
di Almeria), rivisitata a partire da un’eccezionale abilità nella costruzione
di strutture narrative complesse e da un senso dell’umorismo quasi grottesco e
relativamente infrequente nel panorama della narrativa spagnola contemporanea,
sia pure con felici eccezioni come l’Eduardo Mendoza di Il mistero della
cripta stregata e Nessuna notizia di Gurb.
I lettori italiani possono ora
conoscere una delle opere migliori di Orejudo, Vantaggi di viaggiare in
treno (ottimamente tradotto da Raul Schenardi per Alessandro Polidoro
editore, pp. 120, e. 15), che arriva nelle nostre librerie a più di vent’anni
dalla prima edizione in lingua originale: un romanzo così insolito e brillante da
poterlo accostare alla perfida comicità di I due allegri indiani (Adelphi
2011), frutto del genio eccentrico di Juan Rodolfo Wilcock. In un testo breve e
densissimo, Orejudo offre ai lettori il piacere di misurarsi con un racconto
perfettamente circolare, fitto di sorprese e fondato sulla constatazione che l’identità
esiste solo in quanto enunciato narrativo, come spiega il protagonista a Helga
Pato, incontrata per caso (o forse no) su un treno diretto a Madrid.
Lui, che afferma di essere uno
psichiatra eterodosso, inanella storie e sentenze per tutto il primo,
lunghissimo capitolo. Lei, che ha appena fatto internare in manicomio il celebre
e coprofilo marito scrittore, ascolta e tace, in attesa di salire sul proscenio
di un secondo capitolo dedicato alla sua storia di mancata studiosa, uxoricida
fallita e spregiudicata agente letteraria, ansiosa di pubblicare i microracconti
(irresistibili, in effetti, come quello che narra una storia di immigrazione
con sintetica e feroce ironia) scritti da pazienti con patologie diverse e raccolti
nella cartellina che lo psichiatra le ha consegnato prima di scomparire. Sarà
nell’ultimo capitolo che i due si ritroveranno sul medesimo treno, dopo movimentate
avventure, indagini quasi poliziesche, furti di identità, morti plurime,
incendi misteriosi… e proprio mentre il puzzle sembra ricomporsi, l’autore ne scombina
di nuovo i pezzi, riportandoci alla situazione iniziale.
Curando all’estremo forma e
linguaggio, Orejudo ci introduce in uno spazio in cui realtà e finzione sfumano
l’una nell’altra, dando vita a un gioco che ricorre a tecniche della più antica
tradizione letteraria, come le storie incatenate o “a cornice”, oppure a topos
come quello del manoscritto ritrovato. E guarda con ogni evidenza a Cervantes,
tanto da dichiarare che Vantaggi di viaggiare in treno deve molto a due
delle Novelas Ejemplares, ossia Il
matrimonio degli inganni (non a caso il primo
capitolo si intitola proprio così) e Il colloquio dei cani, tanto legate l’una all’altra
da poterle considerare
un tutt’uno (allo stesso modo, Orejudo dà al lettore la possibilità di leggere
il suo libro come un romanzo, o come una raccolta di racconti). Un’eco cervantina
affiora poi, oltre che nell’asserita labilità dei confini tra realtà e
finzione, anche nell’aperta rottura della verosimiglianza e nella scelta di un’impronta
ludica, sostenuta da un’inventiva inesauribile.
La capacità di governare con
fermezza un vortice di eventi, di caratterizzare magnificamente le voci
narranti e di introdurre con naturalezza sottili riferimenti metaletterari, si
accompagnano alla satira spietata del «sistema letterario»: si vedano, per
esempio, il cinismo con cui Helga escogita e impone una strategia commerciale
che prevede il lucroso inserimento della pubblicità nelle pagine dei libri, l’ironia
su certi generi e certe scritture, lo sbeffeggiamento della critica,
rappresentata dall’ anonimo autore di una recensione in prima persona che brilla
per assoluta incompetenza, o il pungente ritratto del vecchio studioso cui la
letteratura è servita per conoscere e capire le persone, e che vede
progressivamente franare il suo mondo fatto di libri, studio e letture.
Ultima e non meno importante
suggestione è quella che, probabilmente al di là delle intenzioni dell’autore,
sembra azzardare una lettura della «sindrome del complotto e del
favoleggiamento di complotti talora cosmici», di cui parlava Umberto Eco in una
sua lezione del 2015. Dalla congiura
planetaria di potentissimi pedofili fino alle tecniche governative di controllo
tramite un minuzioso esame della spazzatura, in Vantaggi di viaggiare in
treno si dispiega ironicamente una fabulazione paranoica ormai fin troppo
familiare a noi tutti. E, anche se l’autore la attribuisce a un protagonista
per il quale tutto è racconto, al lettore viene spontaneo porsi la stessa
domanda avanzata da Franco Ferrari in un recente articolo sulla rivista «Il
Mulino»: le teorie del complotto sono forse «l’ultima grande narrazione» che va
riempiendo il vuoto lasciato dalla crisi delle «grandi narrazioni» precedenti? Un’ipotesi
inquietante, se davvero siamo soltanto «le storie che ci raccontiamo».
Questo articolo è apparso sul
quotidiano Il manifesto nel mese di maggio 2022