Elvira Navarro |
Le incrinature della realtà
“Il talento letterario è un dono naturale di questa autrice, che ha scritto
un primo libro classico e feroce, ammirevolmente trasgressore: la sottile,
quasi nascosta, autentica avanguardia della sua generazione”. È con queste parole
che Enrique Vila-Matas segnalò, nel 2007, la pubblicazione di La ciudad en invierno, breve romanzo d’esordio
di Elvira Navarro proposto da Caballo de Troya, autentico vivaio di nuovi scrittori
governato da Constantino Bértolo, editor leggendario. Da allora Navarro, che è nata a Pontevedra nel 1978 ma vive da anni a
Madrid, ha prodotto altri tre romanzi, La
ciudad feliz (2009), il notevole e pluripremiato La lavoratrice
(apparso in Spagna nel 2014, è uscito in Italia presso Liberaria nel 2019), e Los últimos días de Adelaida García Morales, tutti accolti con grande favore dalla critica.
Anche il suo ultimo
libro, una raccolta di racconti intitolata La
isla de los conejos, è degno di nota e, attraverso una scrittura più che
mai sobria posta al servizio di trame spiazzanti e suggestive, conferma alcune
delle caratteristiche sottolineate da Vila-Matas, come il gusto per la
trasgressione o per una ferocia impalpabile e sotterranea. Chi ha letto La
lavoratrice, inoltre, ritroverà nella recentissima edizione italiana dei
racconti (L’isola dei conigli, traduzione di Sara Papini, pp. 160, e. 16,50)
alcuni elementi che si possono ormai definire come costanti dell’intera opera
di Navarro, ovvero le svolte fulminee e impreviste della narrazione e il
frequente affacciarsi di temi quali la malattia mentale, la precarietà e lo sfruttamento,
travasati in metafore inquietanti.
Tutti i protagonisti degli
undici racconti sembrano in procinto di venire risucchiati all’interno di
impercettibili incrinature della realtà, celate in spazi marginali e desolati
come sordide pensioni, isolette pantanose, quartieri suburbani, case occupate:
una periferia del territorio cui corrispondono ossessivi labirinti interiori e
rapporti di coppia o di lavoro tanto opprimenti da poter essere spezzati solo con
la fuga o con la mutazione del corpo, proiettato senza spiegazioni verso una
grottesca animalità.
Tra derive oniriche e
lo spalancarsi di abissi improvvisi incontriamo così un falso inventore il cui
capriccio introduce una popolazione di conigli in una piccola isola deserta del
Guadalquivir, causando l’orrorifica alterazione dell’ecosistema; e poi un uomo
che forse si trasformerà in insetto, in una storia meno kafkiana di quanto
sembri e vicina piuttosto a David Cronenberg, una cuoca d’albergo che conclude
la sua sfibrante giornata con sogni infestati dagli incubi altrui, o una
studentessa straniera che si perde nella banlieue
parigina mentre cerca un luogo in apparenza inesistente dove presentare certi
documenti.
Profondamente perturbanti, i racconti aderiscono solo
in parte all’estetica
e alle norme del fantastico (tranne Stricnina, in cui una ragazza vede
crescere dal proprio orecchio un arto nuovo e ferino) e sembrano sfruttare
tutte le possibilità offerte dal realismo alla rappresentazione dell’oscurità che
invade esistenze intrappolate in conflitti irrisolti, incertezze, disagio e
illusioni. Perché, come sottolinea Navarro in un’intervista, “la realtà non è che consenso su ciò
che chiamiamo reale. Il codice realista non descrive la realtà, ma la
costruisce. In questo senso è una proposta di finzione, e basta un po’ d’ansia
per farci apparire minacciosa la normalità”.
Questo articolo è apparso sul quotidiano Il manifesto nel dicembre del 2021