Fernández Mallo |
Il secolo della paura
Un fisico
nucleare che è anche un musicista, un ottimo e prolifico poeta, un saggista
insolito, un cinefilo, un appassionato d’arte concettuale e, prima di ogni
altra cosa, uno scrittore: nonostante sia breve, una presentazione del genere
non esaurisce certo il ritratto di Agustín.
Fernández
Mallo, nato a La Coruña nel 1967 e autore di quel Nocilla dream che nel
2006 irruppe nella scena letteraria spagnola con un piglio così audace da
indurre la critica a parlare di “Generazione
Nocilla”, per riferirsi a un
gruppo di giovani scrittori spagnoli nati intorno al 1970.
Sbrigativa e poco attendibile come
tutte le etichette (gli autori cui venne applicata avevano in realtà poco in
comune, a parte la data di nascita), anche questa è stata ben presto archiviata.
Non così, invece, l’opera di Fernández Mallo, che negli anni ha definito la sua
inconfondibile identità di narratore grazie ad altri tre romanzi, per approdare
infine al monumentale e più che notevole Trilogia della guerra, indicato
dal New York Times come uno dei migliori libri del 2018 e vincitore nello
stesso anno di un premio letterario importante. Grazie all’editore Utopia il romanzo arriva ora in Italia (traduzione di
Silvia Lavina, pp. 456, e. 20), in un momento in cui la guerra, quella vera,
divampa in Europa: una coincidenza che gli assegna un senso nuovo e che induce,
se non altro, alla curiosità.
Diviso in tre parti che si potrebbero
anche leggere indipendentemente, ma che si rivelano collegate da temi
ricorrenti e da elementi semantici, il testo dà voce a tre personaggi
differentissimi che si confrontano con la guerra civile spagnola, con quella in
Vietnam e con lo sbarco in Normandia, avventurandosi però in racconti che non rimandano
a un romanzo storico o a una ricostruzione realistica degli eventi. Spiazzante
come sempre, infatti, l’autore colloca i suoi protagonisti nel mondo
contemporaneo e li mette in relazione con le tragedie passate, guidandoli sui
luoghi delle antiche battaglie e facendoli dialogare con ricordi, ombre,
fantasmi.
È del presente che le voci narranti
ci parlano in prima persona, e del modo in cui il passato lo genera, penetra in
esso, lo modella, perché, dice uno dei personaggi, “Come le stelle, che ci illuminano pur essendo già̀
morte, siamo una legione di vivi e morti uniti dalla stessa cosa: la
distruzione e la guerra”. Il
passato è insomma una rete in cui tutti siamo impigliati, mentre il tempo somiglia
a una marea che getta a riva i residui dei mille naufragi e delle apocalissi di
cui il romanzo si fa eco. Perché la rete più grande, suggerisce Fernández
Mallo, non è internet, ma il dialogo tra vivi e morti in cui siamo ogni giorno
impegnati, anche senza saperlo, e sul quale edifichiamo la nostra realtà.
Proprio come Nocilla dream
(pubblicato nel 2008 in Italia da Neri Pozza col titolo Il sogno della
Nocilla), anche Trilogia della guerra si apre continuamente ad aree
diverse dalla letteratura, diventando un artefatto multidisciplinare dove
trovano posto le scienze, la politica, la filosofia, l’antropologia, con veri e
propri frammenti saggistici inseriti nelle innumerevoli sottotrame che si
ramificano da quelle centrali. Un romanzo che si dilata all’infinito, con una
struttura frammentata e non lineare tipica delle avanguardie storiche come
della letteratura postmoderna, e che è qui costellata di materiali della
cultura pop, di riferimenti al cinema e all’arte, di citazioni e “appropriazioni”
(una via battuta in prima luogo da Borges, cui Fernández Mallo ha reso omaggio nel
2011 con il brillante e ormai perduto El hacedor (de Borges). Remake,
testo mandato al macero su istanza della terribile Maria Kodama, vedova dello
scrittore argentino).
I punti di riferimento già presenti
in Nocilla dream ci sono tutti, ma Trilogia della guerra oltre a
essere più maturo e ambizioso, raggiunge una sostanziale coerenza narrativa,
pur non rinunciando alla scommessa su una letteratura fondata sul vorticoso
accostamento di luoghi, epoche, momenti, oggetti e folle di personaggi che si
accalcano attorno ai tre protagonisti.
Il primo è uno scrittore in visita nella
deserta isoletta di San Simón, in
Galizia, divenuta campo di concentramento dopo la guerra civile, e da lì parte alla
ricerca di uno dei vecchi prigionieri, spingendosi fino in Uruguay e a New
York, dove incontra le amabili ombre di García Lorca (le
sue poesie “americane” sono uno dei leitmotiv dell’opera) e di Salvador Dalì, che vagano per Central Park come
spettrali flâneur.
A narrare la formidabile seconda
parte, quasi una rivisitazione mimetica del “grande romanzo americano” e dei
suoi archetipi, è invece un anziano statunitense di nome Kurt (come il
protagonista di Cuore di tenebra, poi transitato in Apocalypse Now),
ex pilota durante la guerra del Vietnam e astronauta dell’Apollo, anche se
nessuno lo sa perché non compare nelle foto. Un simbolo e un interprete di
quella madre oscura che è il sistema nordamericano, pronto a generare “mostruosità”
come la metamorfosi trumpiana, anticipate in un titolo tratto da una canzone di
David Bowie (“Stati Uniti d’America. Topolino è
cresciuto e ora è una vacca”).
Una donna che da sola percorre a
piedi le spiagge della Normandia è la protagonista di una splendida terza parte,
dichiaratamente ispirata a Gli anelli di Saturno di W.H. Sebald, in cui
le memorie sanguinose dello sbarco e dei suoi morti si fondono con l’apparizione
dei profughi siriani che tentano di arrivare in Inghilterra, dopo che fame e
guerre li hanno espulsi dal loro paese per sospingerli sulle rive di un’Europa aggrappata
all’illusione di una pace sempre più fragile.
Ciascuno parla di sé, disegna i
suoi percorsi e allo stesso tempo sprofonda nella memoria collettiva per
avvicinarci obliquamente alle guerre del ventesimo secolo, a
quelle di oggi e di sempre, dando vita a una tempesta di immagini e montaggi
visuali che scatenano suggestioni profonde, come se lo sguardo del narratore – sostenuto
da una serie di fotografie ritrovate o scattate da lui stesso, inserite e
commentate qua e là nel testo – rivelasse e collegasse gli aspetti più nascosti
e inattesi di luoghi, persone, oggetti, eventi, per penetrare la complessità
contemporanea e ricordarci che siamo la somma di tutti coloro che non ci sono
più, delle loro azioni, dei loro pensieri, dei loro errori, della loro furia.
Non a caso l’incendio e i fuochi artificiali che, alla fine della terza parte, illuminano
la spiaggia normanna e le ombre dei profughi sembrano un riflesso di fiamme
belliche destinate a non spegnersi mai.
Capace di innescare la riflessione e
di favorire associazioni inconsuete, senza mai ricorrere al lamento o all’invettiva
ma privilegiando piuttosto l’ironia, la curiosità, l’osservazione attenta, il
dettaglio, la lentezza, Trilogia della guerra sa come avvincere il
lettore e avvolgerlo in un turbine di vicende, concetti, informazioni, visioni,
e, con grande sicurezza e altrettanta abilità, fa combaciare migliaia di
minuscoli pezzi per comporre un mosaico di enorme suggestione, dominato da uno
spettro che non ci abbandona mai, a tratti invisibile ma sempre pronto a
reincarnarsi: perché se il Novecento è stato il secolo della paura, “sospinto da forze cieche e sorde” incapaci di
intendere “le grida di avvertimento, i consigli, le suppliche”, come scriveva Albert Camus nel 1946, il
nostro sembra non essere così diverso.
Questo articolo è apparso sul quotidiano Il manifesto nel febbraio del 2022