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Armonia Somers |
Una misteriosa Armonia
Strano,
bizzarro, insolito, singolare: così, o con altri sinonimi capaci di esprimere
differenza e alterità, si potrebbe tradurre l’aggettivo spagnolo raro. In letteratura, però, il termine
si è trasformato in sostantivo a partire da Los
raros, testo del 1886 in cui Rubén
Darío ritrae poeti e scrittori inclassificabili e «diversi», creando una
categoria che alla luce del presente va senz’altro ripensata. Buona parte dei
nomi indicati da Darío, infatti,
col tempo si sono trasformati in altrettanti classici, e lo stesso si può dire
di alcuni degli autori novecenteschi individuati a metà del secolo scorso da un
celebre critico ed editore uruguayano, Ángel Rama.
Nel prologare Aquí. Cien
años de raros, fondamentale
antologia da lui compilata nel 1966 per la Editorial Arca, Rama sottolineava
come la letteratura del suo paese, aderente alle convenzioni del realismo, fosse
attraversata da una segreta linea «immaginativa», la cui prima radice sarebbe
da rintracciare nell’influente presenza del franco-uruguayano Isidore Ducasse,
meglio noto come Conte di Lautréamont. Animati
da «legittima diffidenza» verso la tradizione, scrittori quali Juan
Carlos Onetti o Felisberto Hernández
avevano imboccato la strada di un’audace complessità fondata su «ingredienti insoliti»,
diventando estranei a un canone che lentamente li ha riassorbiti, anche se non
tutti e non del tutto, perché se Onetti è da tempo insediato nel «centro»,
altri si trovano ancora in una sorta di limbo marginale, non più ostracizzati,
ma confinati nell’appartato territorio dei cosiddetti «segreti meglio custoditi».
Tra loro, fino a
qualche anno fa, c’era anche Armonia Somers, il cui primo romanzo venne accolto
nel 1950 da innumerevoli polemiche a causa dell’allegorica ma esplicita messa
in scena del desiderio femminile, e per la presenza, inoltre, di uno pseudonimo
che suscitò infinite ipotesi, nessuna delle quali contemplava la possibilità
che La mujer desnuda, un testo «ermetico, osceno, macabro,
feroce», fosse opera di una donna. Solo
molti anni dopo, quando Somers aveva ormai pubblicato romanzi e racconti ancora
più «oltraggiosi» per forma e contenuto, l’identità dell’autrice fu svelata: il
suo vero nome era Armonia Etchepare Locino, nata nel 1914 a Pando in una famiglia
povera ma non incolta (il padre era un sarto anarchico, la madre aveva
aspirazioni letterarie), e trapiantata da adolescente a Montevideo.
Dapprima
semplice maestra rurale, Armonia era diventata una pedagogista assai nota, autrice
di importanti saggi sulla devianza giovanile: una figura istituzionale e
rassicurante, dunque, provvista però di un inquietante «doppio» letterario;
solo grazie all’ energica rivalutazione compiuta da Rama cominciò a essere apprezzata
e a diventare oggetto di analisi entusiaste ma discordanti, che l’hanno di
volta in volta collegata al surrealismo, all’espressionismo, al gotico, al femminismo
più radicale, al perturbante freudiano o alle correnti postmoderne. Frustrato
ogni azzardo tassonomico, la critica sembra d’accordo nell’attribuirle almeno
un’etichetta, quella di «inclassificabile» dalla scrittura onirica e crudele,
che non arretra davanti all’eccesso, sa stabilire analogie insolite, sovverte
tempo e spazio, utilizza tecniche narrative che vanno dal flusso di coscienza
al frammento, azzarda spericolate costruzioni sintattiche, elabora un
linguaggio brillante e denso di metafore, allegorie, simboli, riflessioni
filosofiche, centrando pienamente, secondo Elio Gandolfo, l’obiettivo di
«raccontare una storia come non era mai stata raccontata in precedenza».
Quasi leggendaria ma ancora sfuggente e misteriosa, a settantatré anni dal suo esordio e a quasi venti dalla morte, Somers arriva ora ai lettori italiani per la prima volta con La donna nuda (pp. 140, e. 14), grazie alla nuovissima casa editrice Ventanas, fondata da Laura Putti, che si è intrepidamente misurata con la non facile traduzione di un testo rimaneggiato nel 1967, quando l’autrice volle rivedere in profondità un romanzo germinale, annuncio delle sue opere future (culminanti nello sfolgorante Sólo los elefantes encuentran mandrágoras, spesso paragonato al Paradiso di José Lezama Lima), in dialogo involontario ma percettibile con la pittura di Leonora Carrington e Remedios Varo, amabili streghe surrealiste, e soprattutto con scritture femminili differenti dalla sua ma altrettanto anticipatrici e disposte a osare, come quelle di Silvina Ocampo, Maria Luisa Bombal, Marosa di Giorgio o Clarice Lispector.
L’ avventura di
Rebeca Linke, che nel giorno del suo trentesimo compleanno raggiunge una casa
di campagna dove decapita se stessa con uno stiletto, per poi rimettersi la
testa sul collo «con un colpo deciso, come un casco da combattimento» e
inoltrarsi in un bosco simile a un cetaceo spiaggiato, è affidata a un
narratore reticente che non offre spiegazioni e adotta il punto di vista dei
personaggi, si tratti della protagonista o degli abitanti di un paesetto
placidamente patriarcale, sconvolti dalla sua apparizione. Dopo il gesto
cruento che ne segna la rinascita, Rebeca indossa nomi nuovi (Eva, Giuditta,
Semiramide, Maddalena, Friné, Gradiva…) e, noncurante del violento desiderio
collettivo scatenato dalla sua nudità, intraprende un percorso utopico e brevissimo
sotto il segno dell’erotismo e dell’innocenza primigenia, alla ricerca di una libertà
destinata a soccombere tra fuoco e acqua, mentre il fiume la sottrae alla furia
maschile. Un fallimento, il suo, che testimonia comunque la necessità di
spezzare la disciplina imposta dall’ordine borghese, dalla religione, dal
contratto sociale e sessuale che assegna all’uomo la proprietà e l’uso del
corpo femminile.
Costruita con
immagini fulminee ed effetti quasi pittorici, prodiga di rimandi intertestuali
(tra i tanti, la Genesi, il mito, gli echi di Poe, Lautreamont e César Vallejo,
fino al Frankenstein di Mary Shelley), la trama prescinde da un approccio
lineare e letterale, nascondendo i propri segreti, indica l’autrice in una delle
sue rare interviste, «come i piccoli e pericolosi ragni che vivono dietro i
quadri», pronti a saltare e a inoculare perplessità, dubbio, straniamento, ma
anche un sorprendente piacere estetico.
Se esiste il
mestiere di scrivere, dice Somers, esiste anche quello di leggere, e conclude: «Credo di aver pensato che i lettori
dovrebbero, per una volta, ascendere verso l’autore, anche a costo di una
qualche sofferenza. Forse ho ammannito una pietanza troppo complicata, che non
sono riusciti a digerire. Ma non me ne pento, non mi dispiace. La digerisca chi
può». E chi non può, si potrebbe aggiungere, si lasci tranquillamente divorare
da un testo di solida e magnifica eccentricità, e accetti di perdersi, di
correre dei rischi, di inoltrarsi in un labirinto di possibilità
interpretative.
Questo articolo è apparso sul quotidiano il manifesto nell’aprile del 2023