Rodrigo Fresán
Un’avvincente complessità
Argentino residente a Barcellona da più di vent’anni e, purtroppo, poco tradotto in Italia, dove Mondadori ed Einaudi hanno pubblicato due dei suoi romanzi, Rodrigo Fresán è oggi un autore tra i più interessanti, originali e controcorrente del panorama internazionale, come testimonia l’imponente trilogia di oltre duemila pagine (che l’autore preferisce chiamare “trittico”, paragonando ogni libro alle stanze di un’abitazione, dove di volta in volta si spenga o si accenda la luce) edita da Literatura Random House e inaugurata nel 2014 da La parte inventada, proseguita nel 2017 con La parte soñada e conclusa di recente da La parte recordada.
I primi due volumi sono già presenti nelle
librerie americane e francesi grazie a Open Letter e a Seuil (The Invented Part
ha ricevuto nel 2018 il Best Translated Book Award USA, e in Francia l’autore è
stato insignito del Prix Roger Caillois), mentre in Italia l’editore Liberaria ha
da poco pubblicato, nell’impeccabile e attentissima traduzione di Giulia Zavagna,
La parte inventata (pp. 704, e. 25), che
consente di penetrare in un testo potente e ambizioso, ricco di digressioni
e incisi, di squarci saggistici, di irresistibili trame secondarie innestate su
quella principale e di infiniti riferimenti musicali, cinematografici e letterari,
a conferma del fatto che la scrittura di Fresán affonda le radici sia in quella
che si usa chiamare cultura pop (e che viene qui dispiegata e rimpianta) sia in
una sterminata ed eterogenea biblioteca personale. Personaggio centrale è uno Scrittore
nato negli anni ’60, il cui successo va declinando e che decide di scomparire, mentre
attorno alla sua opera e alle sue memorie si installa un turbine di figure disegnate
con speciale perizia, a partire da Penelope, sorella ai confini della follia, da
ragazzotti alquanto cinici, da una giovane scrittrice di best-sellers chiamata IKEA,
da presenze come Francis Scott Fitzgerald e il suo amico Gerald Murphy, che oscillano
tra presente e passato e sono funzionali a una grandiosa (e rabbiosa) invettiva
sulla fine della letteratura, su un sistema editoriale omogeneo all’industria dell’intrattenimento
e su un universo mortalmente digitalizzato, in cui lettura e scrittura prosperano,
ma nel modo più disfunzionale, irrilevante e privo di senso. Come ormai accade di
rado, Fresán opta per una complessità avvincente, piena di trappole, sorprese e
suggestioni destinate ad allettare il lettore ostinato, colui che a uno scrittore
chiede di non limitarsi a raccontare, ma, per l’appunto, di saper scrivere, di insinuarsi
nelle pieghe del linguaggio, di esplorare e produrre il nuovo (o almeno di provarci),
di spingersi e di spingerlo oltre i confini di tutto quanto è facile e rassicurante.
Un romanzo come La parte inventata rappresenta
una sfida entusiasmante per chi legge e una scommessa vinta per chi lo ha scritto,
e soprattutto conferma la convinzione del suo autore che “lo stile è l’unica risorsa
rimasta alla letteratura in un’epoca completamente digitale”.
Questo articolo è apparso sul quotidiano Il
manifesto nel gennaio del 2020