Una pugnalata alle spalle
Nell’edizione originale si chiama Puñalada
trapera (Editorial Rey Naranjo, 2017), ossia
“Pugnalata alle spalle” e in quella italiana Heridas, cioè “Ferite”
(gran vía, pp. 284, e. 16): entrambi titoli perfetti per l’antologia curata da Maria
Cristina Secci, autrice dell’ottima prefazione e coordinatrice di un gruppo di giovani
traduttori suoi allievi.
Nel volume troviamo i nomi di ventidue scrittori
nati in Colombia tra il 1972 e il 1985, ben pochi dei quali già tradotti in Italia
(tra tutti, da ricordare Cárdenas e l’ammirevole Margarita García Robayo) ma sempre
di considerevole interesse, che con i loro racconti ci forniscono un quadro attendibile
della letteratura di un paese sovrastato dall’ombra immensa di Gabriel García Márquez,
cui è toccato l’ingrato ruolo di mettere in secondo piano, almeno agli occhi dei
lettori non colombiani, alcune generazioni di autori più che eccellenti. Il libro
è una vera e propria mappa che consente di esplorare la nuova narrativa colombiana
e testimonia non solo della sua buona salute, ma anche della grande varietà stilistica
e tematica che la connota. Senza dimenticare alcune lezioni del passato (in primo
luogo quella che ha aperto una cultura per lungo tempo “chiusa” a influenze e contaminazioni
di ogni genere: apertura accentuata dal vero e proprio fenomeno migratorio che sembra
coinvolgere tanti scrittori latinoamericani), i diversi autori si allontanano ciascuno
a suo modo da tenaci stereotipi, adottano audaci registri linguistici e si accostano
con estrema cautela al tema della violenza, che ha così profondamente segnato la
letteratura colombiana: un argomento che non si può ignorare, e che tuttavia si
riduce spesso a un rumore di fondo, a un dettaglio minimo, a una presenza sotterranea,
raramente esplicitata. Un’antologia, in conclusione, che, come nota nell’introduzione
Maria Cristina Secci, si può definire “generazionale” e che invita gli editori a
osare nuove traduzioni da proporre a lettori felicemente curiosi.
Questo articolo è apparso sul quotidiano Il
manifesto nel marzo del 2020