José Emilio Pacheco
Non tornerà, eppure non se ne andrà mai
Il quattordici gennaio 2013
se n’è andato il suo amico e vicino di casa Juan Gelman (entrambi vivevano
nella Colonia Condesa, a Città del Messico), del quale si definiva “lettore
intimo”, e a lui, alla sua ventennale presenza nella capitale messicana, José
Emilio Pacheco aveva dedicato la sua ultima rubrica sulla rivista Proceso, una colonna settimanale
intitolata Inventario che per anni è
stata una sorta di bussola non solo letteraria, ma anche etica e civile per i
suoi numerosissimi e fedeli lettori. Terminato nel pomeriggio di venerdì,
l’articolo era destinato a uscire il giovedì successivo, come sempre: e invece
lo si può leggere già ora sul sito della rivista, in memoria non solo del
grande poeta argentino, ma dello stesso Pacheco che, ricoverato sabato dopo un
banale incidente domestico, è morto domenica “tranquillo, in pace e sulla
breccia come ha sempre desiderato”, secondo le parole di sua figlia Laura
Emilia, lasciando al Messico e al mondo una straordinaria opera poetica che ne
fa uno degli autori di lingua spagnola più importanti del ‘900.
“Sono nato a metà di un
anno orribile, il 1939, e tuttavia non ho affrontato i disastri della guerra.
Non ho patito i bombardamenti, le battaglie, le persecuzioni, i campi di
sterminio. Ho sperimentato tutto ciò a distanza e non per questo ha cessato
d’imprimersi in quello che ho scritto. Ora la violenza e la crudeltà estreme
sono il mio pane quotidiano e vivo nel cuore di un conflitto bellico senza
speranza di vittoria. A questo si somma la vista esacerbata della fame e della
miseria in Messico e nel mondo. A tutto ciò, cui non smetto mai di pensare,
aggiungo l’angoscia di quanti restano senza lavoro e dei giovani che non
trovano il posto per il quale sono stati preparati. (…) E a volte mi sento
affine a Pallada, il poeta di Alessandria che vide crollare il suo mondo e
contemplò il trionfo del cristianesimo su quanto era stato per molto tempo
greco e romano”.
Così aveva detto nel suo
discorso di accettazione del Premio Cervantes ricevuto nel 2009, aggiungendo
che la lingua in cui era nato era sempre stata la sua unica ricchezza. Una
ricchezza messa a frutto nel migliore dei modi, “investita” com’è in sedici
raccolte di versi (tra esse Tarde o
temprano, l’antologia del 2009 che riunisce quasi per intero la sua opera;
in italiano si può leggere “Gli occhi dei pesci”, una scelta di poesie curata e
tradotta da Stefano Bernardinelli per Medusa nel 2006), due romanzi (il più
famoso, “Le battaglie nel deserto”, vera pietra miliare della letteratura
messicana, è uscito nel 2012 presso La Nuova Frontiera) e sei volumi di
splendidi racconti. A tutto questo vanno aggiunti saggi, magistrali traduzioni
di autori come Eliot, Schwob, Beckett, e migliaia di articoli composti nel
corso di una lunga attività giornalistica che non riguardava solo la
letteratura e procedeva in parallelo a una carriera universitaria di grande
impegno e prestigio, che dal Messico lo ha portato negli Stati Uniti e in
Inghilterra.
Insieme ad altri nomi
importanti della cultura messicana, Pacheco faceva parte della cosiddetta Generación de los ‘50, una generazione di
rottura che ha vissuto la trasformazione di un Messico arcaico, ancora segnato
dalle ferite della guerra cristera scoppiata
alla fine degli anni ’20, in una nazione industrializzata a tappe forzate e
catapultata in una modernità liberista che dilata e radicalizza ulteriormente
le diseguaglianze sociali, la corruzione, l’intreccio profondo tra politica e
criminalità. E’ una nazione comunque ribollente di cambiamenti e novità, in cui
la classe media si accosta timidamente per la prima volta all’allettante
possibilità di nuovi consumi, che vede nascere le opere di un gruppo di
scrittori eccezionali e aperti a un rinnovamento linguistico e tematico, come Juan García Ponce, Jorge Ibargüengoitia, Carlos Fuentes, Juan
José Arreola, Rosario Castellanos, Josefina Vicens, Sergio Pitol, Carlos Monsiváis,
l’appartato e grandissimo Juan Rulfo e molti altri, ormai in buona parte
assurti al rango di classici moderni. Tra loro, José Emiio Pacheco spicca per
la sua capacità di interpretare e raccontare il cambiamento: pochi romanzi,
infatti, riescono come “Le battaglie nel deserto” a offrire il ritratto di una
nazione e di una società in rapido e tumultuosa mutazione, e a farlo attraverso
un uso ironico, affettuoso e spericolato della lingua e della cultura popolare,
filtrando il tutto attraverso lo sguardo di un ragazzino che si innamora
perdutamente di una donna adulta.
L’adolescenza e l’infanzia, intese come stagioni di passaggio e
a loro modo dolorose, sono del resto uno degli argomenti preferiti del Pacheco cuentista, autore di racconti che
immancabilmente sfiorano la perfezione e che non sono certo inferiori all’opera
del Pacheco poeta, ossessionato dallo scorrere del tempo, dalla devastazione
che l’uomo infligge alla terra, dalla solitudine e dalla morte, e tuttavia
capace, sempre, di un continuo e sottile esercizio di ironia che passa anche
attraverso l’uso di una lingua “parlata”, essenziale, asciutta.
Di lui, oggi, la cultura messicana e soprattutto i lettori che
lo adoravano (secondo una leggenda urbana pare che non potesse camminare per la
strada senza venire continuamente fermato da persone che volevano dirgli quanto
i suoi libri fossero stati
importanti per loro) ne ricordano non solo la statura letteraria ma anche la
generosità, l’umorismo, la semplicità, l’interesse per la nuova e sorprendente
generazione di scrittori che va crescendo in Messico, la fermezza nello
spendersi per le cause che riteneva giuste, l’ansia per la terribile condizione
attuale del suo paese. “Prima Gelman e poi lui: siamo rimasti orfani di poeti”,
si legge in uno dei tanti ricordi comparsi sulla stampa messicana, dove la
notizia della morte dello scrittore ha occupato le prime pagine. Ma,
parafrasando proprio quanto ha scritto Pacheco sulla scomparsa del poeta
argentino, si potrebbe dire che l’autore di “Le battaglie nel deserto” non
tornerà, eppure non se ne andrà mai.
Questo articolo è uscito su
Il Manifesto nel gennaio del 2014