Antonio Dal Masetto |
El Tano se fué
Non molti, forse, si ricordano di Emigrantes, il primo dei nove film
che Aldo Fabrizi scrisse, diresse e interpretò tra il 1949 e il 1957: la storia
del muratore Giuseppe Borbone e della sua famiglia era schematica quanto ingenua,
ma rifletteva un fenomeno reale, favorito dagli accordi stipulati nel secondo dopoguerra
tra l’Italia e l’Argentina per fornire mano d’opera qualificata ai progetti di sviluppo
economico del governo Perón. Dal ’47 al ’51, 300.000 italiani si aggiunsero agli
oltre due milioni già partiti in anni lontani per la “terra promessa”, anche se
stavolta, a differenza del passato, un buon 60% decise di tornare indietro, proprio
come il protagonista del film e sua moglie Adele (Ave Ninchi), che nel nuovo paese
si ammala di nostalgia, mentre il marito arriva a ordire un goffo imbroglio pur
di trovare i soldi per il rientro in patria.
Altri, però, rimasero per sempre, e tra loro c’era Antonio Dal Masetto, che
nel 1951 aveva lasciato Intra, un paesetto sul lago Maggiore, per raggiungere il
padre, ex operaio disoccupato che era riuscito ad aprire una macelleria a Salto,
nella parte più settentrionale della provincia di Buenos Aires. Quando sbarcò insieme
alla madre e alla sorellina, Antonio, allora dodicenne, non sapeva una parola di
spagnolo e ignorava che, dopo averlo imparato a poco a poco, leggendo quanto trovava
in una biblioteca pubblica fondata da qualche anarchico, sarebbe diventato uno scrittore
famoso e, soprattutto, uno scrittore argentino, capace di usare con secca rudezza
una lingua divenuta così sua da scalzare quella materna.
Ora che Dal Masetto è morto (il 2 novembre, all’Ospedale Italiano di Buenos
Aires, per un infarto che ha avuto ragione del suo cuore malandato), prima ancora
di citare i titoli dei suoi dieci romanzi e delle sei raccolte di racconti, i molti
omaggi affettuosi apparsi sui giornali argentini ricordano soprattutto due cose:
la sua identità di immigrato – non a caso per tutta la vita l’hanno chiamato el
Tano, il più diffuso tra i soprannomi dati agli italiani –, e allo stesso tempo
la sua profonda appartenenza alla Buenos Aires dove si era trasferito a diciassette
anni, e dove avrebbe fatto il venditore ambulante, l’operaio e l’imbianchino, mestiere
che gli toccò esercitare a lungo, prima di potersi mantenere con collaborazioni
a riviste e giornali come il quotidiano «Pagina/12», e con i proventi dei suoi libri.
Si potrebbe dire che, nonostante il continuo affiorare di una duplice identità,
più di ogni altra cosa el Tano fosse un porteño del Bajo, la zona
dove si incontrava a tarda sera con amici come Miguel Briante, Guillermo Saccomanno
e Osvaldo Soriano, che lo considerava uno dei migliori scrittori argentini. Conosceva
assai bene, però, anche la provincia, le piccole città come Salto, le loro ipocrisie,
le loro ferree caste sociali, la durezza quasi feroce nascosta dietro un velo di
rispettabilità…
Lo sguardo disorientato e apprensivo, ma anche curioso, di chi deve lasciarsi
tutto alle spalle per affrontare una terra infinitamente lontana; il passaggio da
un lingua a un’altra, da un continente a un altro, dall’estraneità all’integrazione;
l’approdo autodidatta alla cultura e alla scrittura, l’immersione nella vita e nel
melting pot di una metropoli oscura, sorprendente, bizzarra, e infine la delusione
di un breve ritorno nel paese d’origine, all’inutile ricerca dell’eden infantile:
di tutto questo è fatta la narrativa di Dal Masetto, intensa, cruda, violenta e
amara, con sfumature ironiche e lampi di poesia. Romanzi come Strani tipi sotto
casa, uno dei migliori mai scritti sui mondiali di calcio che servirono alla
dittatura militare per autocelebrarsi, oppure Bosque e È sempre difficile
tornare a casa, storie criminali ambientate in una piccola e sinistra città
dell’interno, sono difficili da dimenticare, per l’efficacia della scrittura come
per l’asprezza dei contenuti, ed è un peccato che le traduzioni italiane non abbiano
riscosso l’attenzione e la fortuna che avrebbero meritato, com’è un peccato che
solo Oscuramente forte è la vita, il primo dei tre romanzi dedicati alla
vita di una famiglia immigrata, sia stato proposto vent’anni fa da un piccolissimo
editore, per scomparire in fretta. Così come sembra scomparsa, del resto, la memoria
del tempo in cui i migranti eravamo noi, custodita sino alla fine da Antonio Dal
Masetto, outsider solitario, uomo di poche parole, scrittore dalla prosa scabra
e concreta, che ha saputo fare dello sradicamento la propria ricchezza.
Questo articolo è uscito su Alfabeta 2 nel mese di novembre 2015