Valeria Luiselli
Bambini perduti
Le sorelline hanno cinque e sette anni, vengono dal Guatemala e hanno viaggiato
fino alla frontiera con un coyote, un uomo pagato dalla loro madre, emigrata
da anni a Long Island; una volta varcato il confine tra Messico e USA sono state
arrestate e chiuse in un freddissimo “deposito di bambini” chiamato non a caso “la
ghiacciaia”, e poi la madre è andata prenderle, avvertita grazie al numero di telefono
ricamato dalla nonna all’interno dei vestiti, in un punto nascosto. Potrebbe essere
il lieto fine di una fiaba: il viaggio, le dure prove, un talismano segreto e la
presenza di un “aiutante magico”, se così si può definire il coyote che le
ha scortate e che, dice la più grande, “Era gentile, certo”. In realtà la storia
è appena cominciata, perché adesso le due sorelle non sono più bambine, ma minori
non accompagnate, immigrate clandestine e senza documenti: per questo stanno raccontando
la loro vita, come possono e sanno, a una giovane donna che prende appunti e cerca
di trasformare le loro voci incerte e perplesse in risposte alle domande del formulario
che ha davanti.
Quella giovane donna è Valeria Luiselli, la più nota e apprezzata tra le scrittrici
messicane nate negli anni ’80, autrice di un libro di cronache e di due romanzi
(Volti nella folla e Storia dei miei denti), che dal 2011 vive e lavora
a New York e per un anno è stata interprete volontaria per la Icare Coalition
– che fornisce assistenza legale gratuita ai minori “clandestini” – durante la cosiddetta
crisi migratoria che tra il 2014 e il 2015 ha visto arrivare negli Usa oltre centomila
bambini e ragazzi centroamericani, spesso chiamati da genitori e parenti emigrati
da tempo, oppure spontaneamente in fuga da abusi, miseria e abbandono, e soprattutto
dalle bande che vogliono reclutarli a forza come “carne da cannone” per il narcotraffico.
Da questa esperienza è nato Dimmi come va finire. Un libro in quaranta domande
(pag. 94, e. 13, pubblicato da La Nuova Frontiera, che ha già proposto in Italia
gli altri libri dell’autrice), saggio e racconto in cui cifre, dati, riflessioni,
cenni autobiografici, storie, danno vita a un testo privo di sensazionalismo, asciutto
e mai sentimentale, composto da frammenti accostati con la cura formale del romanziere
sperimentato, ma soprattutto animati da una lucidità e una rabbia pronte a “trasformarsi
in capitale politico”. Scritto direttamente in inglese e subito pubblicato negli
Stati Uniti, con un titolo ispirato alla domanda costante della figlia di Valeria
Luiselli (Come va a finire la storia di quei bambini?), il libro è poi apparso
in spagnolo, in una versione leggermente accresciuta e con un altro titolo, I
bambini perduti, che sembra rimandare al romanzo di J. M. Barrie, con i suoi
bebè caduti dalla carrozzina e raccolti da un provvidenziale Peter Pan.
Luiselli ci parla, invece, dei bambini che durante il viaggio non sono caduti
dalla Bestia (così i migranti chiamano i treni merci sui quali si arrampicano per
raggiungere la frontiera), non sono stati rapiti, non sono spariti senza lasciare
tracce, ma sono arrivati a destinazione solo per diventare dei removable aliens:
una massa indistinta che l’amministrazione Obama ha affrontato con cinismo degno
di una Trumplandia ancora di là da venire, tramite il Priority Juvenile Docket
(provvedimento per rendere rapidissimo il processo di espulsione) e l’accordo con
il presidente messicano Peña Nieto, che ha varato, grazie anche a un finanziamento
nordamericano, il Programa Frontera Sur contro l’immigrazione centroamericana,
aggiungendo la brutalità istituzionale a quella dei trafficanti e delle bande che
rendono infernale, per i migranti, l’attraversamento del Messico.
La struttura attorno alla quale si articola il libro è fornita dalle quaranta
domande del questionario messo a punto dalla Icare Coalition per vagliare
le possibilità di una difesa efficace contro l’espulsione, e proprio per questo
Dimmi come va a finire finisce per assomigliare, che il lettore se ne renda
conto o no, a un superbo lavoro di traduzione: le storie raccontate dai bambini
e dai ragazzi, spesso in modo confuso o laconico per ragioni di età, di diffidenza
e della difficoltà di collegare le domande alle proprie esperienze, non vanno solo
trasferite da una lingua a un’altra, ma anche decifrate e ricomposte con pazienza
ed empatia. La “traduzione” più interessante, però, è quella che propone di sostituire
parole come immigrati, clandestini, illegali, con altre più pertinenti: nessun essere
umano è illegale e nessun bambino è un immigrato, ma piuttosto un rifugiato, un
profugo in cerca di scampo da situazioni le cui cause e i cui effetti hanno radici
nel continente intero, inclusi gli Stati Uniti, dei quali tutti conosciamo il ruolo
nelle vicende dell’America latina.
Testo politico e quietamente furibondo, saggio di rara intensità letteraria
che va oltre la pura testimonianza o la cronaca, e che conferma la duttilità e l’originalità
di una voce sempre riconoscibile – com’è quella di Luiselli, scrittrice errante
e bilingue impegnata in un affascinante work in progress – Dimmi come va a finire
suscita echi scomodi e familiari anche nei lettori europei e soprattutto italiani,
non offre risposte ma fa presente che sarebbe ora, forse, di porci nuove domande,
prima di essere sommersi da una marea crescente: non quella dei migranti, ma una
ben più cupa e pericolosa.
Questo articolo è apparso sul quotidiano Il manifesto nell’ottobre del 2017