martedì 31 gennaio 2023

Da leggere: Gilda Manso


Gilda Manso



Per favore, sia breve 

«“No, io non provengo da nessun uomo”, rispose Lilith, un po’ sorpresa. Eva la guardò dalla testa ai piedi e le credette. Eva accennò un sorrisetto. Avrebbe parlato con Adamo. Una costola. Che figlio di puttana». 

Intitolato Eva e Lilith, ecco uno dei racconti che compongono Flora e Fauna (Wojtek, pp. 166, e. 16), raccolta delle brevissime prose elaborate tra il 2008 e il 2015 dall’argentina Gilda Manso, tradotte da Antonella Di Nobile: un libro insolito ma non troppo, per chi conosce la letteratura latinoamericana, attraversata da un’abbondante produzione di quelle che vengono etichettate come microficciones, ovvero microfinzioni, o microracconti, o narrativa «istantanea» e altro ancora.

Comunque li si chiami, i microracconti di Manso si inseriscono, più che nella passione postmoderna per il frammento, nella lunga tradizione delle forme brevi in auge sin dall’antichità, come favole, bestiari, aforismi, parabole, casi, sentenze, che, come nota l’ispanista Anna Boccuti in uno dei suoi dettagliati studi in materia, a volte si confondono e si sovrappongono, trasmettendo parte delle loro caratteristiche a quello che, praticato sin dagli inizi del Novecento da autori di grande nome e privilegiato tra gli altri da Lugones, Cortázar Borges e Bioy Casares, viene ufficialmente riconosciuto come genere a sé a partire dagli anni ’60 e studiato a fondo dalla critica.

Il nome di Gilda Manso (autrice anche di due romanzi che vale la pena di leggere, Verme e Luminosa, tradotti in Italia da Arcoiris e Wojtek), va a inserirsi quindi in una tradizione ormai consolidata, che in Argentina ha indubbiamente i suoi massimi cultori e che l’avvento delle nuove tecnologie ha notevolmente rinvigorito (Clara Obligado, curatrice per Paginas de Espuma del recente Por favor sea breve.Antologia de relatos hiperbreves, non è la sola ad affermare che blog e reti sociali sono ormai uno sbocco importante per il microracconto).

Come nota Antonella Di Nobile nella sua bella prefazione, Manso non manca di collegarsi alla fabula e al bestiario medioevale, o di fare riferimento al mito: e tuttavia non siamo di fronte a un semplice calco del passato, ma a una sua reinvenzione, in base a quelle che, nonostante la difficoltà di classificare un genere così sfuggente, vengono da tempo individuate come le caratteristiche principali del microracconto. La prima ovviamente è la brevità – tutti conoscono il celeberrimo racconto in otto parole di Augusto Monterroso: «Quando si svegliò, il dinosauro era ancora» –, che però deve necessariamente collegarsi a un’evidente tensione narrativa ed estetica, sottolineata da un finale sorprendente, da un’adeguata dose di umorismo e dal riutilizzo di personaggi, situazioni e generi letterari (si tratti di giallo, noir, fantastico, fiaba) già noti al lettore, che innescano una brillante intertestualità. E fondamentali sono anche un sapiente uso del non detto, del sottinteso, di spazi bianchi da riempire, e la capacità di costruire un testo senza sbavature, perché la forma breve non consente l’errore e richiede il ricorso alla “parola giusta”.

Nelle sue storie, raramente più lunghe di una pagina e che potrebbero ricordare quelle di «maestre» della brevità come Ana Maria Shua, Luisa Valenzuela e Pía Barros, Manso rivisita la vita quotidiana e le imprime svolte inattese, svelando altre realtà possibili (una casalinga vede galoppare lungo i muri non un topo, ma un microscopico mammut, un pugile che vorrebbe essere un drago emette una fiammata che annienta l’avversario), illuminando di bagliori favolosi esistenze in apparenza qualsiasi, affrontando ironicamente i rapporti tra i sessi e tessendo la trama di una fitta intertestualità. Siamo insomma di fronte a «… un gioco divertente con il lettore, insieme al lettore, basato sulla condivisione e sulla complicità», nota Di Nobile, e forse a qualcosa di più, visto che alcuni dei raccontini di Flora e fauna, come Matrioska o La prigioniera, sono anche fulminee denunce della violenza contro donne e bambini, condensate in una frase conclusiva che arriva dritta al bersaglio.

 

 

Questo articolo è apparso sul quotidiano il manifesto nel gennaio del 2023