sabato 18 febbraio 2023

Da leggere: Luis Landero


Luis Landero


 


Un fiume di veleno 

Un bambino di campagna che si trasferisce a Madrid e cresce senza libri; un ragazzo ribelle, meccanico per qualche mese, chitarrista di flamenco per qualche anno; uno studente della Complutense e poi un professore di letteratura: Luis Landero, nato ad Albuquerque nel 1948, è stato anche questo, ma, a partire dal fortunatissimo esordio nel 1989 con Juegos de la edad tardía, è in primo luogo uno scrittore, considerato in Spagna uno dei più importanti tra quelli che hanno cominciato a pubblicare dopo la transizione alla democrazia.

Quando affrontano la sua narrativa (undici romanzi in poco più di trent’anni e, nel 2022, un riconoscimento importante come il Premio Nacional de las Letras Españolas), i critici non mancano di sottolinearne il rimando a Cervantes, evidente nella struttura dialogica, nel vivo senso dell’umorismo, nel gusto per la parodia e infine in una scrittura che, quasi barocca agli inizi, è approdata a una fluida semplicità.

Una delle costanti dell’autore, oltre a quella che potremmo chiamare una sottile epica dell’uomo comune (ma non sprovvisto di tratti stranianti e bizzarri), è l’importanza accordata all’atto del narrare, al racconto di sé con cui ognuno cerca di realizzare, scriveva Ortega y Gassett, «il personaggio immaginario che rappresenta il suo vero io». Ma le parole non sono mai inoffensive, «le storie non sono mai innocenti, non del tutto innocenti», dichiara Landero nell’incipit di Pioggia sottile (Fazi, pp. 236, e. 18,50), il terzo fra i suoi romanzi ad apparire in italiano dopo Giochi tardivi (Feltrinelli 1991) e La vita negoziabile (Mondadori 2018), ora in libreria nell’ottima traduzione di Giulia Zavagna, fedele alla ricchezza lessicale del testo.

Quanta verità ci sia nell’avvertimento che «qualcosa nelle parole comporta un rischio, una minaccia», lo si potrà scoprire in queste pagine ispirate da una notizia di cronaca su una riunione di famiglia conclusa con un morto e tre feriti; la sua lettura, dice Landero, ha suscitato «un’intuizione, un raptus», da cui è nata una storia densa di ombre su una famiglia composta da due figlie divorate dal risentimento, un figlio con la sindrome di Peter Pan e una madre autoritaria e anaffettiva.

La bandiera della madre è il sacrificio: per lei la vita è stata una battaglia senza tregue né sorrisi, tanto più dopo la morte precoce del marito, uomo allegro e vitale che inventava per i suoi bambini le avventure di un improbabile antenato, il Grande Pentapolín (un esplicito riferimento al capitolo XVIII del Don Chisciotte). Disastroso è il rapporto con Andrea, la figlia minore, che la accusa di nefandezze assortite e del fallimento del suo sogno di unirsi a un gruppo heavy metal, mentre Sonia, bella e obbediente, rinfaccia alla madre di averle imposto, appena quindicenne, un matrimonio presto fallito con il ricco e viscido Horacio, commerciante dalle segrete tendenze pedofile.

Gabriel, in quanto maschio, è stato esentato da compiti domestici, ha beneficiato del privilegio di frequentare l’università e ora è un indolente professore di filosofia con qualche lato oscuro. È lui, il figlio prediletto, a proporre una cena per celebrare gli ottant’anni della madre: un’idea sciagurata, che fa riaffiorare anni di ricordi rabbiosi e colloca nell’occhio del ciclone sua moglie Aurora, alla quale tutti i membri della famiglia affidano le proprie personali verità, sciorinando torti veri o presunti e servendosi della paziente ascoltatrice come di una discarica emozionale. E da ogni tuffo nella palude del racconto tutti sembrano emergere rinfrancati, tranne la mite ed empatica Aurora, che non li zittisce e non li giudica, ma, esasperata quanto incapace di sottrarsi, nelle ultime righe si abbandona a un gesto estremo di rivolta, che spiazza e sorprende il lettore.

Pioggia sottile è un romanzo corale, un caleidoscopio di racconti in cui ciascuno fornisce una differente versione degli stessi episodi, un fiume di chiacchiere velenose che si intersecano e si intrecciano in una sorta di complesso gioco a incastro, costruito con grande naturalezza e senza sforzo apparente. Un avvincente saggio di bravura con cui Landero si conferma un narratore d’eccezione, che stavolta sostituisce ai suoi consueti protagonisti maschili ondivaghi e velleitari un collettivo in cui predominano le voci femminili, mentre il tono si fa più amaro e disilluso, anche se non prescinde mai dall’intenzione ludica e da quella “ironia compassionevole” di stampo cervantino che sono il suo marchio di fabbrica.

Oltre a evocare rapporti familiari cementati dal rancore, piuttosto che dall’affetto o dalla riconoscenza, nonché l’immagine di una maternità “nemica” (o vissuta come tale) e lo spettro generazionale di una Spagna succube dei traumi della guerra civile, condensati nel personaggio della madre, il romanzo insinua riflessioni più ampie sul ruolo della memoria nel reinventare e “adattare” il passato, sull’incerta frontiera tra narrazione e vita, e soprattutto sulla torrentizia esibizione dei fatti propri che, pur pretendendo ascolto, sembra prescindere dall’ascoltatore. E ai lettori non potrà sfuggire un possibile parallelo (proposto dallo stesso Landero in articoli e interviste) tra la fabulazione familiare di Pioggia sottile e l’astiosa fonosfera pubblica nel cui ronzio incessante tutti siamo immersi, che lo vogliamo o no.

 

 

Questo articolo è apparso sul quotidiano il manifesto nel febbraio del 2023