Carmen Balcells |
Addio a Carmen Balcells
Carmen Balcells, colei che l’editore catalano Carlos Barral definiva “la superagente
letteraria” (“con licenza di uccidere”, chiosava Manuel Vázquez Montalbán) è morta
nel sonno lunedì, nella sua bella casa di Sarrià, a Barcellona: aveva ottantacinque
anni, e, anche se da molto tempo era costretta su una sedia a rotelle, la sua vitalità
e il suo spirito erano tali da indurre chi la conosceva a credere che i funerali
della Mamá Grande si sarebbero celebrati
in un futuro così lontano da farle sfiorare l’immortalità. E invece il funerale
verrà ora celebrato, in forma privatissima e, per sua volontà, senza alcuna veglia
funebre, a Santa Fe de Dalt, il villaggio in provincia di Lleida dov’era nata nell’agosto
del 1930 in una famiglia di piccoli proprietari terrieri e da dove era partita,
forte solo di un modesto diploma, per stabilirsi a Barcellona, la città in cui sarebbe
diventata un personaggio leggendario.
Perché non c’è dubbio che la Balcells fosse una leggenda, e sapesse di esserlo.
In una delle rare interviste da lei concesse, punteggiate di ghiotti aneddoti e
dalla immediata proibizione di riferirli, aveva confessato: “Che esista la leggenda
non è un male, purché io non finisca per crederci. Ne ho tratto vantaggio, certo,
ma a farmi diventare qualcuno sono state l’audacia e il fatto di sapermi guadagnare
la fiducia dei miei clienti”. Audace lo era davvero, oltre che acuta, intelligente,
con un enorme fiuto letterario, capace di grandi allegrie e grandi furie, espansiva
e riservata allo stesso tempo (pochissimo si sa della sua vita privata), affettuosa
con gli autori ma implacabile con gli editori, pronta a incoraggiare, controllare,
viziare, sgridare i suoi “clienti”, che mai si azzardò a definire amici, al punto
che quando uno di essi, Gabriel García Márquez, a corollario di un
rapporto quarantennale le chiese: “Carmen, mi vuoi bene?”,
si sentì dire: “A questo non posso rispondere, perché rappresenti il 36,2% del nostro
fatturato”.
Ma, al di là degli affari, l’amicizia esisteva, e solida: per anni la Balcells
ha raccolto le confidenze dei suoi “clienti” e ha condiviso con loro trionfi e dolori,
consigliandoli maternamente su ogni cosa, dall’acquisto di una casa alla soluzione
di una crisi coniugale. Ma soprattutto è stata colei che aveva cambiato radicalmente
il rapporto tra scrittori e case editrici, da quando nel 1960, in pieno franchismo,
aveva fondato la sua agenzia letteraria dopo un breve apprendistato in quella di
un fuoruscito rumeno, Vintilă Horia, adottando subito una decisa,
quasi feroce politica di difesa degli autori e dei loro diritti. “C’è un prima e
un dopo Carmen Balcells, nel nostro universo,” dice Juan Marsé, ricordando quegli
anni, mentre Manuel Vázquez Montalbán la definiva “la liberatrice degli autori”, aggiungendo: “Finché non è arrivata
lei, gli scrittori firmavano contratti a vita con gli editori, percepivano compensi
miserevoli e a volte, come premio, ricevevano un maglione o un formaggio Stilton”.
Ma Carmen Balcells era, soprattutto, colei che in un certo senso aveva inventato
il cosiddetto “boom latinoamericano” (anche se questa definizione, lo ripeteva spesso,
non le piaceva e non restituiva la complessità di quello che per lei restava il
fenomeno “più fresco, innovatore e rigenerante che abbiamo mai avuto”), spingendo gli editori spagnoli a diventare meno provinciali e a volgersi verso
un orizzonte più ampio che includesse “l’altra riva”, quella atlantica, e trasformando per qualche anno Barcellona nella capitale letteraria del mondo
occidentale. Tra i suoi “clienti”, oltre a grandi nomi come
Augusto Roa Bastos, Ana María Matute, Juan Marsé, Eduardo Mendoza,
Juan Goytisolo, Alfredo Brice Echenique, Isabel Allende, Javier Cercas, Julio Cortázar, Carme Riera, si contano sei premi Nobel, da García Márquez a Vargas
Llosa, da Asturias a Cela, da Aleixandre a Neruda; ma l’importante, diceva la Balcells,
era intuirlo venticinque o trent’anni prima, di aver per le mani un futuro premio
Nobel. Lei l’aveva capito più di una volta, per esempio quando il poeta José Caballero
Bonald le aveva suggerito di dare un’occhiata al libro (già rifiutato da Carlos
Barral) di uno sconosciuto giornalista colombiano, chissà mai che non ne venisse
fuori qualcosa: Carmen lo aveva fatto (il libro era intitolato Cent’anni di solitudine),
e si era affrettata a includere il colombiano nella propria scuderia. Allo stesso
modo, aveva convinto Vargas Llosa a lasciar perdere i lavori “alimentari” e a trasferirsi
a Barcellona per scrivere, scrivere e basta. Ed era volata fino a Montevideo per
convincere l’eccentrico Onetti, sconosciuto in Europa, a diventare uno dei suoi
“clienti”, autori di grande qualità e spesso di ottime vendite, anche se un Gabo
che macinava milioni di copie poteva convivere con un Juan Benet, scrittore sofisticatissimo,
difficile, di immenso valore, ma certo non altrettanto vendibile.
Potente e rispettata, spesso temuta, quasi sempre amata, la “superagente” aveva
fatto sentire la sua influenza anche quando il governo Aznar (con il quale, lei
che si proclamava di sinistra, non aveva niente da spartire) aveva promulgato la
prima legge sulla proprietà intellettuale dell’era democratica. E allo stato spagnolo
aveva venduto nel 2010, per tre milioni di euro, buona parte del suo prodigioso
archivio: duemila scatoloni stipati di manoscritti originali e corrispondenza con
gli autori e gli editori, insomma un pezzo di storia del Novecento letterario.
Quando, nel 2000, aveva annunciato il ritiro e consegnato l’agenzia nelle mani
dei suoi fidati collaboratori, nessuno ci aveva creduto davvero, e infatti nel 2004
aveva ripreso le redini, delusa e dispiaciuta per il saccheggio compiuto da Andrew
Wylie, il glaciale proprietario di una potentissima agenzia rivale che le aveva
sottratto clienti importanti come Bolaño e Cabrera Infante. Nel 2013, però, era tornata ad annunciare il pensionamento
per il giugno del 2015 (e nessuno, di nuovo, ci aveva creduto), indicando come successore
il giovane Guillem d’Efak, un mallorquino formatosi negli Stati Uniti che fino ad
allora si era occupato di poli museali e editoria elettronica, e che giusto tre
settimane fa ha lasciato l’agenzia. Non c’è dubbio, però, che Carmen Balcells, per
quanto vulcanica e piena di progetti, fosse stanca: abbastanza stanca da firmare,
nel 2014, un preaccordo con il detestato Wylie, in vista di una fusione che in realtà
era una vendita mascherata, e che avrebbe dato vita alla più grande agenzia del
mondo, con una lista di oltre millecinquecento autori, tra i quali tredici premi
Nobel: un gigante la cui apparizione preoccupava molti e rallegrava altri, convinti
che solo così fosse possibile affrontare altri giganti, da Amazon alle concentrazioni
editoriali come la Random Penguin, che controlla ormai una grossa fetta dell’editoria
in lingua spagnola e continua a espandersi, come dimostra il recentissimo acquisto
del gruppo Santillana, uno dei più grandi e importanti di Spagna, con numerose ramificazioni
in America latina. Nessuno aveva previsto, però, che le trattative per mettere le
basi della nuova agenzia si sarebbero arenate in fretta, perché la Balcells non
voleva abbassare il prezzo (almeno tre milioni di euro) né vendere più del 45% prima
di due anni; era, inoltre, molto riluttante a “far pulizia”, ossia a licenziare
un certo numero di collaboratori, come chiedeva l’acquirente, e per questo aveva
rimesso sul mercato la sua creatura, affidandola all’Atlas Capital che le aveva
sottoposto nuove offerte, tra le quali quella di Andrew Nurberg, un grande agente
inglese, e, si dice, di Riccardo Cavallero, uscito dalla Mondadori. Nel frattempo
è stata annunciata l’apertura, proprio in questo mese di settembre, della nuovissima
agenzia Wylie España, con sede a Madrid e direzione
di Cristobal Pera, editoriale di lungo corso, ex responsabile della Random in Messico,
dove ha lavorato a stretto contatto con García Márquez, e che mantiene un ottimo
rapporto con i suoi eredi. Una mossa che puntava, tra le altre cose, a ottenere
una rapida resa della Balcells.
Ora la morte improvvisa della meravigliosa Carmen sembra sparigliare le carte
su più fronti: le sorti dell’agenzia sono tutte da decidere, e così pure quelle
di una seconda parte dell’archivio, che include i diari della vecchia signora, redatti
dal ’54 fin quasi ai nostri giorni, e altri materiali preziosi, il cui contratto
di vendita allo Stato non è ancora firmato (la Generalitat catalana, intanto, ne
reclama energicamente il ritorno a Barcellona, ma la Balcells non amava affatto
gli indipendentisti e forse, in vita, non avrebbe avallato una decisione del genere).
Comunque vadano le cose, con la morte di Carmen Balcells si chiude un’epoca straordinaria,
irripetibile: ma a lei, una donna fuori del comune, curiosa e instancabile, che
guardava al futuro e da esso continuava ad aspettarsi sorprese e meraviglie, non
sarebbe piaciuto sentirselo dire.
Questo articolo è apparso su Il manifesto nel mese di settembre del 2015