Rodolfo Walsh |
Ancora e sempre, Rodolfo Walsh
Sono in molti a pensare che l’arrivo a Buenos Aires di Barack Obama, all’alba
di mercoledì 23, intenda sottolineare e sostenere il cambiamento di rotta dell’Argentina:
una mossa prevedibile e non certo isolata, in un momento in cui i mercati stanno
prendendo le misure a un paese pronto a tuffarsi senza rete nel liberismo più sfrenato.
Le organizzazioni per i diritti umani, tuttavia, sembrano non aver apprezzato né
l’istantaneo appoggio a un governo così pericolosamente di destra, né la scelta
di una data fin troppo simbolica, quella del quarantesimo anniversario della più
sanguinosa tra le dittature argentine. Lo ha detto chiaramente anche Estela Carlotto
(“È una data molto delicata. Che venga il presidente di un paese che ha creato la
Dottrina della Sicurezza Nazionale… il paese di Kissinger, che ha formato i repressori
dell’America latina”), esprimendo a nome di tutti lo scarso gradimento per un’eventuale
visita presidenziale alla ex ESMA, uno dei principali luoghi di tortura e detenzione.
E così, nonostante un ramoscello d’olivo (a lungo negato ai Kirchner, ma subito
offerto a Macri) come l’annuncio dell’apertura degli archivi in cui sono custoditi
i documenti sulla Giunta e le sue relazioni con il governo degli Stati Uniti, giovedì
24 il presidente si limiterà a una rapida visita mattutina al Parco della Memoria,
dove si snoda un monumento composto da trentamila lastre di pietra con i nomi dei
desaparecidos e di altre vittime, ordinati per anno. Là, alla data del 25
marzo 1977, figura il nome di Rodolfo Walsh, scrittore e giornalista di origine
irlandese nato nel 1927 nella remota provincia di Río Negro e autore, tra l’altro,
della celebre Lettera aperta di uno scrittore alla Giunta militare, scritta
per denunciare non solo i crimini della dittatura ma anche la sua rovinosa politica
economica. Fu proprio quando aveva appena inviato per posta le prime copie della
sua Lettera, che cadde in un’imboscata e venne ucciso durante uno scontro
a fuoco: del suo corpo, portato probabilmente alla ESMA, non si è mai trovata traccia.
Divenuto anche per questo una leggenda, nel suo paese come altrove, Rodolfo
Walsh è stato indubbiamente un personaggio di enorme rigore morale, intelligenza
e talento, che, scegliendo una personalissima via al giornalismo, ha lasciato una
traccia profonda nella cultura latinoamericana; su di lui tutto è stato detto e
scritto e la bibliografia che lo riguarda è sterminata, anche se al lettore italiano
sono arrivate, nel corso degli anni, solo alcune traduzioni delle opere più strettamente
letterarie, come i racconti polizieschi di Variazioni in rosso o quelli,
splendidi e audaci, raccolti in Fotografie, più una superba prova di giornalismo
narrativo qual è Operazione Massacro, nato da un’inchiesta sulla fucilazione
di un gruppo di civili durante il governo Aramburu. Ora, a trentanove anni dalla
morte, il numero dei titoli disponibili aumenta grazie a Il violento mestiere
di scrivere (La Nuova Frontiera, pag. 224, e. 12,50, da domani in libreria),
curato da Alessandro Leogrande che ha scelto quattordici “pezzi” magistrali, attingendo
alla raccolta completa degli articoli di Walsh curata da Daniel Link per le Ediciones
de la Flor, e li ha commentati nella lunga e documentata prefazione.
La lucidità dello sguardo di Walsh, la passione per la giustizia, il linguaggio
tagliente, lo stile conciso e leggibile (secondo David Viñas, la sua scrittura si distingueva per prodigiosa economia di parole e raffinatezza letteraria), l’irrefutabile presentazione di prove e fatti, non possono che stupire quanti
hanno a che fare con l’arruffato giornalismo contemporaneo e con le sue frequenti
sciatterie, o con il narcisismo e la cortigianeria che spesso lo segnano. E dunque
Anch’io sono stato fucilato, che precede e annuncia Operazione Massacro,
o gli scritti sulla Banda della Picana (ovvero le squadracce che, ben prima
della dittatura, ricorrevano alla picana, strumento di tortura introdotto negli
anni ’30 dal capo della polizia Polo Lugones), o il bellissimo L’isola dei resuscitati,
su una comunità di lebbrosi destinata a essere espulsa dal proprio rifugio per lasciare
il posto a un casinò, fino all’avvincente resoconto della decifrazione di alcuni
messaggi che annunciavano lo sbarco nella Baia dei Porci, sono altrettante testimonianze
del fatto che Walsh è stato e rimane un maestro.
Coniugando etica e tecnica narrativa, e muovendosi lungo il labile confine tra
grande giornalismo di inchiesta e letteratura (per lui, due facce di una stessa
medaglia), ha ampiamente anticipato il new journalism nordamericano e messo
al contempo le basi del nuevo periodismo latinoamericano, restando inarrivabile
ma lasciandoci eredi più che degni, come Leila Guerriero, Alma Guillermoprieto,
Sergio González Rodríguez o Lydia Cacho, oggi impegnati, proprio come lui, “a
rendere testimonianza”, a raccontare storie con abilità e coraggio, a cercare di
capire. E questo, tra i molti meriti di Rodolfo Walsh, non è certo il minore.
Questo articolo è uscito sul quotidiano Il manifesto nel marzo del 2016