Florencia Bonelli |
Per chi ama il “rosa”, passioni e storia patria dall’Argentina
Prima o poi doveva succedere: dopo aver spremuto l’immenso catalogo del rosa
inglese e americano, l’industria editoriale italiana ha deciso di lanciare le sue
reti anche altrove, in cerca di titoli per un mercato in perenne mutamento, ma che
non conosce crisi (non a caso la nascita della Harper Collins Italia ha coinciso,
nel 2015, con l’acquisto da parte del gruppo americano della Mondadori-Harlequin,
depositaria per un trentennio del marchio Harmony). Uno dei frutti di questa pesca
miracolosa è la recentissima apparizione negli Omnibus Mondadori di Il profumo
dell’orchidea, romanzo fiume dell’argentina Florencia Bonelli, una bella signora
ultraquarantenne con diciotto titoli e due milioni di copie al suo attivo, che in
patria può contare su un esercito di furibonde appassionate, pronte ad accorrere
da ogni parte del paese alla Fiera del libro di Buenos Aires per incontrare l’autrice
e rinsaldare il legame già instaurato via e-mail (la Bonelli risponde personalmente
a tutte le sue fans). Più simili a groupies che a lettrici, alcune si presentano
con le unghie dipinte nei colori delle copertine preferite, altre portano fiori
alla loro divinità personale, e tutte insieme formano una comunità in insaziabile
attesa dei nuovi titoli: un fenomeno non da poco in un paese dove l’offerta rosa
è assai nutrita, vista la quotidiana proposta di infinite telenovelas.
Florencia Bonelli, che nel 1998 ha lasciato la professione di commercialista
per la scrittura, viene ormai considerata la nuova Corín Tellado, asturiana scomparsa
nel 2009 e regina incontrastata del rosa in lingua spagnola. Un paragone lusinghiero
ma azzardato, se non altro perché “la Corín” in sessantatré anni di attività ha
prodotto quattromila romanzi e secondo calcoli non aggiornati avrebbe venduto oltre
quattrocento milioni di copie in Spagna e in America Latina, tanto da risultare
l’autore di lingua spagnola più letto dopo Cervantes. Le differenze tra le due,
però, non si esprimono soltanto in cifre: Tellado era una provinciale schiva e appartata
che sfornava a getto continuo storie brevi e ambientate in un contesto quotidiano
e contemporaneo, castissime ma capaci di giocare sul non detto (Guillermo Cabrera
Infante, che alla sua prosa dedicò un piccolo saggio, la definì “un’innocente pornografa”),
così da sfuggire alla censura franchista.
La cosmopolita Florencia Bonelli somministra invece alle sue lettrici sostanziose
ed esplicite dosi di erotismo, avventure rocambolesche, scenari spesso esotici,
colpi di scena degni del feuilleton e, soprattutto, una dettagliata ambientazione
storica come quella di Il profumo dell’orchidea, quattrocento pagine senza
alcuna pretesa di stile (frasi brevi e semplici, vocabolario basico) per descrivere
la rovente passione clandestina tra un celebre soprano e un tenutario di bordelli
nella Buenos Aires del primo ’900, il tutto con la costante colonna sonora del tango,
nato nei vicoli dei quartieri malfamati e in origine destinato solo a compadritos
e prostitute, tanto è vero che la protagonista, abituata ai palcoscenici dei teatri
dell’Opera europei, viene costretta con ricatti e minacce a cantarlo in un postribolo.
A parte rare eccezioni – tra esse la trilogia Caballo de fuego, il cui
protagonista Eliah, confessa la scrittrice, ha i tratti di Gabriel Garko, ben riconoscibili
nelle immagini di copertina –, i romanzi della Bonelli sono dunque da collocare
nella fortunatissima categoria dell’historical romance, roccaforte inglese
e americana ormai espugnata da autrici delle nazionalità più diverse, anche se in
tante si nascondono dietro pseudonimi come Brianna Callum o Ebony Clark e collocano
le proprie eroine nell’Inghilterra della Reggenza.
La produzione di Florencia Bonelli e delle sue molte epigone (da Gloria Casañas a Viviana Rivero, da Silvana Serrano a Gabriela Exilart) possiede però caratteristiche che non rimandano a una semplice imitazione del
collaudato modello anglosassone, ma piuttosto alle origini della letteratura argentina,
segnata da romanzi come Amalia di José Mármol o La novia del hereje
di Vicente Fidel López, in cui l’influsso tardivo
del romanticismo europeo si sposa alla violenta epopea fondativa di una nuova nazione:
testi colti e popolari al tempo stesso, in cui per porre le basi di un immaginario
nuovo e soprattutto “americano” si ricorreva non solo all’avventura, ma anche a
tragiche passioni.
Da allora, man mano che la breccia temporale tra gli eventi e il tempo del racconto
si è andata ampliando, il passato è stato parte così importante e viva della narrativa
argentina da insinuarsi in generi e scritture differentissimi, in risposta a quello
che la studiosa Maria Rosa Lojo ha definito il bisogno di guardarsi indietro per
tentare di capire le cause del disastro presente e ridefinire se stessi. Un bisogno
che a partire dagli anni ’80 si è trasformato anche nella domanda (subito accolta
e lucrosamente sfruttata dall’industria editoriale) di prodotti culturali fruibili
da un pubblico non specializzato, come testimonia la grande fortuna di divulgatori
della storia nazionale quali Félix Luna, o di artigiane come Cristina Bajo e María
Esther de Miguel, autrici di solidi romanzi storici in cui il sentimento ha un ruolo
di primo piano. E l’incarnazione più facilmente consumabile e forse più amata di
questo vasto interesse per il proprio passato sono appunto i romanzi rosa come quelli
della “Flor”. Ma attenzione a riderne o a parlarne male: le Amigas Bonellistas,
guardia pretoriana on line dell’idolatrata scrittrice argentina, hanno le orecchie
lunghe e sono molto suscettibili.
Questo articolo è stato pubblicato su pagina99 nel febbraio del 2016