Ricardo Emilio Piglia Renzi |
Ricardo Emilio Piglia Renzi, lost in USA
“Esisteva una corrispondenza tra Sarmiento e Melville?” Mi guardò, direi, non
interdetto ma indifferente. Lo so che quando parlo degli scrittori sudamericani
che ammiro, gli scholars nordamericani mi ascoltano con educata distrazione,
come se ogni volta cercassi di rifilargli una specie di versione patriottarda di
Salgari o di libri tipo La capanna dello zio Tom. A proporre l’ipotesi di
un legame tra il creatore di Moby Dick e Domingo Faustino Sarmiento, l’autore del
Facundo, opera capitale della nascente letteratura argentina, è il visiting
professor Emilio Renzi, mentre il distratto ascoltatore è Don D’Amato, illustre
cattedratico e autore di un fondamentale saggio su Melville. E a tirare i fili della
loro conversazione, così rivelatrice del rapporto tra le due Americhe, è Ricardo
Piglia, scomparso due mesi fa a Buenos Aires dov’era tornato nel 2011, dopo i quindici
anni trascorsi a Princeton in qualità di professore. Sia Renzi, sia D’Amato sono
infatti personaggi di Solo per Ida Brown (Feltrinelli, pag. 234, e. 17, traduzione
di Nicola Jacchia), quinto e ultimo romanzo dell’autore, che ci ha lasciato imprescindibili
testi critici e soprattutto romanzi e racconti di rara densità estetica e concettuale,
spesso sostenuti da una sofisticata struttura poliziesca.
A El camino de Ida (questo il titolo originale), che si svolge in un
periodo di poco precedente all’attentato dell’11 settembre, Piglia ha cominciato
a lavorare subito dopo il rientro in patria, come per tracciare un bilancio della
sua lunga esperienza statunitense da un punto di vista allo stesso tempo “interno”
ed “esterno”, quello di un residente stabile e privilegiato, ma anche di un estraneo
che percepisce acutamente le contraddizioni della nazione ospite e ne valuta con
lucidità la politica, e che nel disegnarne il complicato, pungente ritratto, evoca
una folla di personaggi a volte minimi, ma sempre perfetti, impigliati in sottili
scivolamenti da un genere a un altro (“l’unico modo per sottrarsi ai generi è quello
di usarli tutti”, si legge in Por un relato futuro, magnifico volume di conversazioni
letterarie tra Piglia e Juan José Saer).
L’autentica cifra di Solo per Ida Brown è però il dispiegarsi di una
sfolgorante intertestualità senza ombra di pedanteria e dotata della leggerezza,
di cui solo un maestro è capace, che amalgama idee, erudizione ed esercizio critico
a una narrazione avvincente e convincente, generando un continuo dialogo tra lettori
instancabili, ognuno dei quali rimanda ad autori e libri che si connettono all’infinito
e tessono una rete in cui si inseriscono armoniosamente la detection, il
quadro d’ambiente e l’elemento autobiografico, sempre presente nelle opere di Piglia,
ma così accentuato, qui, da diventare un vero e proprio sottotesto. Nessun altro
romanzo dello scrittore argentino, in effetti, ha attinto con tale abbondanza ai
suoi Diari: 327 quaderni redatti a partire dal 1957 che Piglia ha deciso
di pubblicare dopo il ritorno in patria, facendo luce sullo stretto rapporto tra
la scrittura pubblica e quella privata, praticate parallelamente sin dall’adolescenza.
E a complicare il gioco, sottolineando fino a che punto l’autore consideri inscindibili
vita e letteratura, anche la stesura dei diari viene attribuita a Emilio Renzi,
presenza costante nella narrativa di Piglia (il cui nome completo è Ricardo Emilio
Piglia Renzi) e personaggio pronto a evolversi, mutare, invecchiare con l’autore.
Quello che incontriamo in Solo per Ida Brown è un Renzi cinquantenne,
ammalato e sperso, che la giovane Ida Brown, specialista di Conrad e splendente
“stella” accademica, ha chiamato a tenere un seminario su William Henry Hudson all’università
di Taylor, trasparente doppio di Princeton, come Renzi lo è di Piglia, e come, in
un certo senso, l’anglo-argentino Hudson – scrittore e naturalista cresciuto nella
pampa, di cui per tutta la vita ebbe nostalgia – lo è di Renzi, sospeso anche lui
tra due culture e due lingue. Il romanzo comincia dunque come un classico campus
novel, esercitando una critica pacata ma inequivocabile delle università di
élite nordamericane, ghetto sontuoso, comunità altamente regolate che fanno da base
scientifica e tecnologica al modello economico e militare statunitense, mentre a
chi si occupa di humanities viene concesso di produrre un pensiero radicale
subito sterilizzato dalla rigorosa separatezza del claustro accademico, estraneo
al contesto sociale e sospeso in uno spazio-tempo tutto suo. Un aspetto che a Renzi
non sfugge e su cui si interroga anche Ida, audace e irridente, nonché pronta a
coinvolgere il malinconico visiting professor in una relazione clandestina:
uno dei tanti segreti della sua vita, presto interrotta da una morte improvvisa
e violenta. Perché accade che nell’asetticità dei campus, “concepiti per escludere
esperienza e passioni”, affiorino le “ondate di collera intestina che fremono sotto
la superficie: la violenza terribile degli uomini educati”, di cui, forse, Ida è
stata vittima, tanto da indurre l’FBI a indagare su un possibile collegamento tra
il suo misterioso “incidente” e l’ignoto attentatore che nell’arco di un ventennio
ha ucciso, per mezzo di lettere-bomba, diversi eminenti scienziati.
Così il campus novel vira verso il poliziesco, sia pure sfumato e anomalo,
e introduce la presenza di due detectives di agghiacciante cortesia, che in Renzi
ravvivano la memoria del controllo assoluto e delle intimidazioni sperimentati durante
la dittatura, finché, con l’arresto del responsabile, il romanzo diventa thriller
politico, aderendo a quella che Piglia, in Bersaglio notturno (Feltrinelli
2011), chiama fiction paranoica, una narrazione cospirativa che per sua natura può
soltanto esplorare i dintorni della verità, senza mai raggiungerla e smentendola
in continuazione. La peculiare corrente di violenza che scorre nei campus si è infatti
incarnata in Theodor Munk, genio matematico che dalla sua capanna nei boschi ha
intrapreso una solitaria carriera da terrorista; un Thoreau furibondo, il cui vademecum
è L’agente segreto di Conrad, e che predica il ritorno a un’economia arcaica
e precapitalista: un personaggio, insomma, ricalcato su Ted Kaczynski detto Unabomber, ex professore a Berkeley, che ha irresistibilmente
attratto Piglia, sempre incline a far confluire nei suoi testi materiali eterogenei
tratti dalla cronaca e dalla storia collettiva, tanto più quando rimandano a una
figura di lettore la cui avidità sconfina nella follia.
Renzi non saprà mai se Ida è stata complice o vittima di Munk, nemmeno quando,
guidato dalle annotazioni dell’amica sulle pagine di Conrad, riesce a stabilire
un legame tra i due e a incontrare il terrorista in carcere, nel tentativo di dare
un senso alla morte dell’amata. L’unica cosa che gli è chiara, alla fine, è che
gli USA, intenti a sorvegliare le proprie frontiere, sono incapaci di fare i conti
con la violenza interna, quella che davvero li minaccia. E, naturalmente, ottiene
la conferma di qualcosa che già sapeva: nulla è più pericoloso di un lettore che,
come Munk e Madame Bovary, decida di trasformare in realtà le pagine dei libri.
Questo articolo è apparso sul quotidiano Il manifesto nel marzo del 2017