giovedì 10 agosto 2017

Da tradurre: Rivero e Spedding

 

                Giovanna Rivero                                                                                                                                        Alison Spedding



Nuove autrici boliviane (o quasi)

La letteratura boliviana, quasi sconosciuta ai lettori italiani e, fino a non molto tempo fa, poco nota anche ai lettori latinoamericani e spagnoli, sta conoscendo in questi ultimi anni una diffusione di gran lunga più ampia che nel passato, grazie all’irruzione di un notevole numero di autori nati tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’80, in buona parte intenti a esplorare temi individuali e intimi, piuttosto che a ritrarre, come in passato, i processi sociali e politici di un paese dalla storia difficile e tumultuosa, segnato da grandi diseguaglianze e dallo sfruttamento spietato dei popoli indigeni.

Tra gli scrittori impegnati a sperimentare una nuova libertà tematica e formale (e molto meno lontani dalla politica di quanto si dica), le donne, escluse in buona parte e per lungo tempo dal canone letterario nazionale, hanno un posto in prima fila. Una delle più interessanti, maestra riconosciuta delle giovanissime che premono alle porte, è Giovanna Rivero, nata nel 1972 e da qualche anno residente negli Stati Uniti, dove insegna in una di quelle Università che, scriveva Ricardo Piglia, offrono a tanti scrittori latinoamericani un modo per guadagnarsi la vita senza rinunciare a scrivere. Autrice soprattutto di racconti, ma anche di due romanzi, Rivero – purtroppo mai tradotta in italiano – costruisce con uno stile complesso, spezzato e denso di metafore, storie come quelle raccolte in Para comerte mejor (Per mangiarti meglio, del 2015), di discreta ferocia e di bellissima scrittura, che sfiorano la fantascienza e l’horror, il fantastico e la Storia, ma soprattutto modulano un approccio “laterale” e insolito a questioni sociali e politiche.

Apertamente e, a volte, beffardamente politici sono invece i romanzi di Alison Spedding, nota quasi soltanto in Bolivia, dove si è stabilita quasi quarant’anni fa: prodigiosamente eccentrica – c’è chi la definisce un’anarco-femminista, e chi la chiama gringa renegada –, nata in Inghilterra nel 1962 e laureata in antropologia a Cambridge, Spedding insegna alla Higher University of San Andrés di La Paz e ha al suo attivo una congrua produzione accademica, ma anche alcuni stupefacenti romanzi scritti direttamente in spagnolo, grazie ai quali viene considerata a tutti gli effetti una scrittrice boliviana, e tra le migliori. Oltre a una trilogia provocatoria, debordante e bizzarra che costeggia generi diversi – romanzo storico, thriller e fantascienza – e la cui protagonista è un’india aymara di nome Saturnina, Spedding ha pubblicato l’anno scorso Catre de fierro, un imponente romanzo corale che racconta quarant’anni di storia boliviana, dal ’52 al ’90, attraverso le vicende di due famiglie, creando intorno a loro un universo immaginario, Saxrani (il rimando alla Comala di Rulfo o alla Santa Maria di Onetti, ma anche a Faulkner, è immediato), e facendo ampio ricorso al suo sapere etnologico e alla conoscenza delle lingue indigene. Alcuni critici l’hanno definito il migliore romanzo boliviano del 2016, e c’è chi aggiunge: “è davvero paradossale che ci sia voluta un’inglese per scrivere il più grandioso ritratto di quella Bolivia decadente che rifiuta di abbandonare i suoi privilegi e i suoi complessi”.

  

Questo articolo è apparso sul quotidiano Il manifesto nell’agosto del 2017