Giovanna Rivero Alison Spedding
Nuove autrici boliviane (o quasi)
La letteratura boliviana, quasi sconosciuta ai lettori italiani e, fino a
non molto tempo fa, poco nota anche ai lettori latinoamericani e spagnoli, sta
conoscendo in questi ultimi anni una diffusione di gran lunga più ampia che nel
passato, grazie all’irruzione di un notevole numero di autori nati tra la fine
degli anni ’60 e i primi anni ’80, in buona parte intenti a esplorare temi
individuali e intimi, piuttosto che a ritrarre, come in passato, i processi
sociali e politici di un paese dalla storia difficile e tumultuosa, segnato da
grandi diseguaglianze e dallo sfruttamento spietato dei popoli indigeni.
Tra gli scrittori impegnati a sperimentare una nuova libertà tematica e
formale (e molto meno lontani dalla politica di quanto si dica), le donne,
escluse in buona parte e per lungo tempo dal canone letterario nazionale, hanno
un posto in prima fila. Una delle più interessanti, maestra riconosciuta delle
giovanissime che premono alle porte, è Giovanna Rivero, nata nel 1972 e da
qualche anno residente negli Stati Uniti, dove insegna in una di quelle
Università che, scriveva Ricardo Piglia, offrono a tanti scrittori
latinoamericani un modo per guadagnarsi la vita senza rinunciare a scrivere. Autrice
soprattutto di racconti, ma anche di due romanzi, Rivero – purtroppo mai
tradotta in italiano – costruisce con uno stile complesso, spezzato e denso di
metafore, storie come quelle raccolte in Para comerte mejor (Per
mangiarti meglio, del 2015), di discreta ferocia e di bellissima scrittura,
che sfiorano la fantascienza e l’horror, il fantastico e la Storia, ma
soprattutto modulano un approccio “laterale” e insolito a questioni sociali e
politiche.
Apertamente e, a volte, beffardamente politici sono invece i romanzi di
Alison Spedding, nota quasi soltanto in Bolivia, dove si è stabilita quasi
quarant’anni fa: prodigiosamente eccentrica – c’è chi la definisce un’anarco-femminista,
e chi la chiama gringa renegada –, nata in Inghilterra nel 1962 e laureata
in antropologia a Cambridge, Spedding insegna alla Higher University of San
Andrés di La Paz e ha al suo attivo una congrua produzione accademica, ma anche
alcuni stupefacenti romanzi scritti direttamente in spagnolo, grazie ai quali
viene considerata a tutti gli effetti una scrittrice boliviana, e tra le
migliori. Oltre a una trilogia provocatoria, debordante e bizzarra che
costeggia generi diversi – romanzo storico, thriller e fantascienza – e la cui
protagonista è un’india aymara di nome Saturnina, Spedding ha pubblicato l’anno
scorso Catre de fierro, un imponente romanzo corale che racconta quarant’anni
di storia boliviana, dal ’52 al ’90, attraverso le vicende di due famiglie,
creando intorno a loro un universo immaginario, Saxrani (il rimando alla Comala
di Rulfo o alla Santa Maria di Onetti, ma anche a Faulkner, è immediato), e
facendo ampio ricorso al suo sapere etnologico e alla conoscenza delle lingue
indigene. Alcuni critici l’hanno definito il migliore romanzo boliviano del
2016, e c’è chi aggiunge: “è davvero paradossale che ci sia voluta un’inglese
per scrivere il più grandioso ritratto di quella Bolivia decadente che rifiuta
di abbandonare i suoi privilegi e i suoi complessi”.
Questo articolo è apparso sul quotidiano Il manifesto nell’agosto del 2017