Patricio Pron |
Letteratura e politica nell’ultimo romanzo di Patricio Pron
Patricio Pron, scrittore argentino tra i migliori della sua generazione, ma
anche critico, traduttore e saggista, in Italia è noto solo per Lo spirito dei
miei padri si innalza nella pioggia (Guanda 2013), il quinto dei suoi sette
romanzi, in cui si intrecciano gli echi di un’infanzia vissuta sotto la dittatura
e il disvelamento di nuovi e antichi delitti: un libro notevole, in cui la sapienza
narrativa e la sperimentazione formale vanno di pari passo, e che induce a chiedersi
come mai a nessun editore italiano sia venuta voglia di tradurre qualcos’altro dell’autore,
a cominciare da magnifiche antologie come El mundo sin las personas que lo afean
y lo arruinan e La vida interior de las plantas de interior. E viene
anche da chiedersi come mai non sia in vista una traduzione nella nostra lingua
del suo nuovo libro, edito da Literatura Random House (Knopf ha acquistato i diritti
per gli USA): un’opera densa e importante, accolta con grande entusiasmo dalla critica.
Eppure questo romanzo dal titolo lunghissimo (No derrames tus lagrimas para nadie
que viva en estas calles), che si srotola in copertina sopra un’inquietante
immagine di Chema Madoz, potrebbe risultare particolarmente interessante per i lettori
italiani, o per quanti tra loro non siano ancora cloroformizzati da un’offerta editoriale
sempre più pavida e conformista.
Pron, nato a Rosario nel 1975, vissuto a lungo in Germania e da anni residente
a Madrid, da autentico scrittore transnazionale – e in controtendenza rispetto ai
suoi giovani colleghi latinoamericani, dimentichi della fascinazione dei padri per
Parigi e la Francia, e interessati piuttosto agli USA o alla Mitteleuropa del Terzo
Reich – ha scelto infatti di ambientare proprio nel nostro paese una vicenda complessa,
fitta di personaggi, narrata a più voci e compresa in un arco temporale che va dal
1945 al 2014 e include le figure di tre membri della stessa famiglia (i Linden,
origine svizzera e radici a Torino e Milano: un nonno partigiano e falegname, un
figlio studente e fiancheggiatore delle Brigate Rosse, un nipote abbandonato dalla
madre e legato ai centri sociali, che vive al ritmo di una musica ininterrotta e
pulsante), uniti, più che da rapporti di affetto, dall’incontro e dal confronto
con lo scrittore futurista Luca Borrello, o con la sua memoria e le sue opere mai
pubblicate.
È Borrello, fascista anomalo e dissidente, a salvare la vita al partigiano Francesco;
sono il nome e le carte di Borrello a spingere lo studente Pietro verso una singolare
indagine; è l’ombra nebulosa di Borrello a scuotere il ragazzo Tommaso, in un’Italia
che, come altri paesi europei, affronta l’arretramento dei diritti e l’approfondirsi
delle diseguaglianze economiche e sociali, in nome del neoliberismo globale. Ai
tre Linden, e a tutti noi, la figura di Borrello pone un medesimo, irrisolto interrogativo
sull’uso politico della violenza, ma soprattutto induce il lettore ad affrontare
temi quali il rapporto tra letteratura e politica, la costruzione del passato attraverso
il racconto che se ne fa, così spesso finalizzato a legittimare il presente, e infine
il ruolo dell’avanguardia e la “cancellazione” dell’autore a fronte della salvezza
del testo. Questioni che non da ora si agitano sopra e sotto la superficie della
critica letteraria, rimandando a dibattiti intensi e mai esauriti – tanto più adesso,
nell’epoca dell’anonima e selvaggia intertestualità della rete –, e ai quali lo
stesso Pron ha dato un contributo con El libro tachado. Prácticas de la negación
y del silencio en la crisis de la literatura, saggio uscito un anno fa.
Patricio Pron è riuscito a far filtrare tutto questo attraverso una poliedrica
e robusta struttura narrativa, il cui nucleo è un immaginario Congresso di Letteratura
Fascista ideato da Ezra Pound e tenutosi a Pinerolo nel 1945, con il concorso o
l’assenza giustificata di scrittori convenuti da tutta Europa, sotto l’ala di Ferdinando
Mezzasoma, ministro della Cultura Popolare della RSI, e alla presenza del suo emissario
Giorgio Almirante. Un congresso subito interrotto dalla morte misteriosa di Luca
Borrello e raccontato trent’anni dopo da tre scrittori futuristi sopravvissuti,
che rievocano, tra guizzi di umorismo nerissimo, il misterioso Borrello e, soprattutto,
la parabola di una corrente letteraria e artistica “rivoluzionaria” e la sua totale
adesione al fascismo.
I nomi di scrittori di destra realmente esistiti affollano un testo che, pur
restituendo l’atmosfera culturale di un’epoca, non è e non intende essere un romanzo
storico e si rivela capace di parlare del nostro presente; e alle silhouettes di
autori noti e meno noti, legati dal filo della sconfitta, si accompagnano vite immaginarie,
imprese e opere di altri mai esistiti, tra infiniti rimandi e citazioni svelati
in una nota finale, anche se molti, prima di arrivarci, avranno riconosciuto in
Cosimo Zago e Flaminia Morlacchi due personaggi del romanzo di Pirandello Suo
marito, e in Carlo Olgiati l’inventore del “metabolismo storico”, uscito dalla
Sinagoga degli iconoclasti di Juan R. Wilcock. Meraviglioso, poi, è il capitolo
dedicato alle opere perdute di Borrello – al quale Pron regala diversi titoli propri
–, che assomiglia a una sorta di catalogo universale dell’avanguardia e induce a
pensare, tra gli altri, ai libri manipolati e ricostruiti da Osvaldo Lamborghini
o ai manufatti quasi segreti del poeta cileno Juan Luis Martínez. Un
gioco non nuovo, ma affascinante, nel quale si colgono echi di Borges e Wilcock,
di Queneau e Perec, di Aub e delle sue bromas literarias, come di Bolaño, Aira e altri ancora. Influssi espliciti, debiti dichiarati:
quello che conta, però, è che No derrame tus lagrimas… non è il frutto di
una pura e semplice ars combinatoria, e neppure un romanzo “alla maniera
di”: perché l’autore immagina e scrive inequivocabilmente come Patricio Pron, dotato
di una sua voce narrativa ormai riconoscibile e potente.
Una versione ridotta di questo articolo è uscita sulla rivista pagina 99 nel
mese di giugno 2016