Roberto Bolaño |
L’eredità di Roberto Bolaño, tra recuperi e polemiche
La discussione sull’opportunità di pubblicare gli inediti di uno scrittore defunto,
lasciati nel cassetto o rinnegati, è così antica e logora che sembra inutile riprenderla:
eppure, dopo ogni ritrovamento di qualche importanza, sull’argomento non manca di
rinascere un certo dibattito. Chi è favorevole tirerà fuori l’emblematico caso dei
manoscritti di Kafka, salvati da Max Brod, o quello dei Papeles inesperados
di Cortázar, portati meritoriamente alla luce da Aurora Bernárdez. Altri sosterranno
che i testi dovrebbero essere a uso esclusivo degli studiosi; altri ancora chiederanno
rispetto per la memoria e la volontà degli scomparsi, alla cui gloria le opere inconcluse
o mal riuscite non aggiungono nulla, e porteranno esempi opposti: le scelte della
vedova di Borges, Maria Kodama, che fa circolare rimasugli di ogni tipo, comprese
le sbobinature di quattro conferenze sul tango del 1956, piene di banalità e di
cose già dette, apparse in giugno per l’editore Sudamericana; oppure la fedeltà
di Mercedes Barcha, che per non tradire la decisione del marito García Márquez rifiuta
di dare alle stampe En agosto nos vemos, romanzo rimasto inedito perché l’autore
lo giudicava insoddisfacente.
A simili querelles, però, sembra estraneo il mercato editoriale, che
da tempo propone una valanga di reperti, accompagnati da fabulazioni sul recupero
miracoloso di una merce il cui valore commerciale non sempre è pari a quello letterario,
e che spesso si trova al centro dell’avidità incrociata di editori ed eredi. Può
accadere, così, che autori non più in vita producano un congruo numero di novità,
come sta succedendo a Roberto Bolaño, scrittore grandissimo e santo laico di un
culto planetario, che alla sua morte ha lasciato sia testi inediti ma conclusi,
da lui stesso destinati alla pubblicazione, sia una montagna di pagine prodotte
in trent’anni di scrittura e già esibite nella mostra “Archivo Bolaño 1977-2003”,
inaugurata a Barcellona nel 2013. Da questo materiale – che, dice il critico Ignacio
Echevarría, amico di Bolaño e curatore di alcuni suoi titoli postumi, “possiede
un interesse in un certo senso archeologico, perché consente di portare allo scoperto
gli strati e le fondamenta sepolti sotto l’opera pubblicata per volontà dello scrittore”
– sono già stati tratti otto titoli tra narrativa, saggistica e poesia, e altri
se ne annunciano.
Il 3 novembre, infatti, esce in America latina El espíritu de la ciencia
ficción, che verrà poi presentato alla Fiera del libro di Guadalajara: un romanzo
dei primi anni ottanta, offerto al pubblico dalla Editorial Alfaguara, oggi proprietà
del colosso Penguin Random House che da anni fa incetta di marchi spagnoli e latinoamericani
e che, in accordo con la vedova Carolina López e il suo agente Andrew Wylie, a marzo
ha portato via l’intera opera di Bolaño, inediti inclusi, ad Anagrama, il cui direttore
Jorge Herralde è stato il primo a credere nello scrittore cileno. Uno strappo al
centro di vivaci polemiche, non ultima quella scatenata da Echevarría con un articolo
apparso alla fine di settembre, che critica la gestione di López e interpreta la
sua rottura con Herralde e con quanti furono vicini allo scrittore, alla luce di
una vera e propria “cancellazione” degli ultimi anni di Bolaño, quelli in cui ebbe
come compagna un’altra donna.
Al netto dei veleni e delle perplessità, il libro è comunque attesissimo, e
il nuovo editore – che si accinge a ripubblicare in formato tascabile e in e-book
l’intera opera di Bolaño – ne garantisce la compiutezza, confermata dalla firma
e dalla data (1984) apposte dall’autore (ma dalle lettere indirizzate all’amico
García Porta risulta che nel 1986 il romanzo non era concluso e che l’autore nutriva
dubbi sulla sua riuscita, tanto da lasciarlo poi affondare tra abbozzi e brutte
copie). Della storia, dedicata a Philip K. Dick, si sa soltanto che si svolge a Città del Messico negli anni ’70, e che i protagonisti
ricordano quelli di I detective selvaggi, ma in versione adolescente; a concludere
il testo ci sono poi alcune “lettere aperte” a famosi autori di fantascienza. Un
nuovo/vecchio titolo si aggiunge così alla bibliografia bolañiana, ma anche, si
è limitato a commentare Herralde, a quella assai vasta “sulle vedove degli scrittori,
della quale Carolina López entrerà a far parte”.
Questo articolo è apparso sul quotidiano Il manifesto nel mese di ottobre 2016