martedì 25 ottobre 2016

Da leggere: Tre autori, due madri


Alberto Chimal 



Alberto Laiseca 

                             

 

Tre autori, due madri 

I nomi di due scrittori latinoamericani importanti e insoliti come l’argentino Alberto Laiseca e il messicano Alberto Chimal probabilmente non dicono molto ai lettori italiani, che hanno a disposizione solo un paio di traduzioni dovute alla competenza e all’impegno di due piccole case editrici: Arcoiris, che nel 2013 ha pubblicato Avventure di un romanziere atonale di Laiseca, e Bibliofabbrica, nel cui catalogo si può trovare Gregge di Chimal, una raccolta di racconti uscita nel 2007. E non c’è dubbio che questa scarsa presenza sia uno dei tanti peccati per nulla veniali della nostra editoria, la cui accresciuta attenzione per gli autori di lingua spagnola sembra, a volte, favorire misteriosamente testi piuttosto banali.

Oggi, però, c’è un’occasione in più per familiarizzare con un autentico monumento come il grandioso, eccessivo, stravagante Laiseca, che in settantacinque anni di vita e oltre cinquanta di scrittura ha prodotto romanzi fuori del comune come El jardín de las máquinas parlantes, La puerta del viento e Los sorias (secondo Ricardo Piglia “il migliore romanzo argentino dopo I sette pazzi di Roberto Arlt”), e come il più giovane Chimal, narratore singolare che nei suoi racconti ci restituisce una quotidianità resa inquietante dal progressivo, quasi sommesso, innesto di elementi fantastici.

È appena arrivato in libreria, infatti, La madre e la morte/La perdita (pag. 56, e. 23,50), che l’editore Logos ha acquistato dal Fondo de Cultura Economica, casa editrice messicana dalla lunga storia, fondata nel 1934 e tutt’ora di proprietà statale, nel cui vasto catalogo sono via via apparsi tutti i nomi più importanti della letteratura iberoamericana. Un libro a tripla firma e con due copertine, che contiene un racconto di Laiseca, La madre e la morte, elaborato a partire dalla tenebrosa novella di Andersen Storia di una madre, e uno di Chimal, La perdita, entrambi dedicati al tema della lotta contro la morte di una madre che ha perso un figlio, ed è disposta a tutto pur di riaverlo indietro.

La terza firma è quella di un illustratore argentino non ancora quarantenne e davvero prodigioso, Nicolás Arispe, coautore a tutti gli effetti di queste narrazioni imparentate con la letteratura gotica e le antiche ballate popolari, fiabe nere e senza tempo, e tuttavia profondamente attuali; benché Laiseca e Chimal non facciano esplicito riferimento a tragedie riconoscibili e presenti, basta aprire il libro per far nascere accostamenti inevitabili con le Madres e Abuelas argentine in cerca di figli e nipoti perduti (i bebès robados dalla dittatura militare), con le madri di Aleppo, con quelle del collettivo Las Rastreadoras, formato nel 2014 da donne di Sinaloa i cui figli sono svaniti nel nulla, e che li cercano senza farsi illusioni, scavando nei campi e nei terreni abbandonati dove, nel giro di qualche anno, hanno ritrovato una cinquantina di corpi da identificare e seppellire.

L’illustratore ambienta La madre e la morte in luoghi devastati da una guerra qualsiasi, e colloca La perdita sullo sfondo di un colossale terremoto, costruendo con inchiostro e pennino minuziosissime immagini in bianco e nero, che a tratti richiamano quelle celebri di Posadas (l’inventore di una classica icona messicana, la Muerte elegante) e aggiungono ai testi infiniti dettagli e metafore. Narratore a sua volta, Arispe interpreta e arricchisce il crudele racconto di Laiseca, spoglio e diretto, in cui la madre intraprende un viaggio verso il centro del deserto (dove, “come tutti sanno”, abita la Morte) che le costerà sofferenza e mutilazioni, per ottenere in cambio soltanto il cadavere del figlio. E la durezza del racconto non è attenuata dalla scelta di attribuire fattezze animali ai personaggi, a esclusione della “rapitrice”, una Morte vagabonda e scheletrica in abiti da soldato; scheletri sono, a loro volta, i protagonisti di La perdita, madre e figlio riuniti da un dio mostruoso che risponde beffardamente alla preghiere materne, restituendole un corpo putrefatto nel quale solo l’anima è viva (alla fine la donna lo brucerà pietosamente, e dalle ceneri sparse avrà origine la Tristezza). Le due storie arriveranno a congiungersi grazie a un’immagine centrale che le conclude entrambe, con le madri sconfitte e contemplate da una lepre, simbolo diabolico nei bestiari medioevali, ma in altre culture legata alla luna – e quindi alla rinascita –, alla fertilità, alle dee madri, e, nella Grecia antica, sacra ad Afrodite e suo figlio Eros. Una speranza, insomma, alla fine di storie disperate, e l’affacciarsi di una possibile elaborazione del lutto.

Splendide e leggibili come testo parallelo, le immagini accompagnano senza offuscarli i testi di due grandi autori dai percorsi differenti e dalle differenti intenzioni. Anche stavolta Laiseca riafferma, reiventando Andersen, la massima paradossale enunciata nel suo saggio Por favor ¡plágienme! (“Perché creare, se esiste il plagio?”), all’origine delle molte reminiscenze di Poe, Lovecraft, Meyrink, rintracciabili nei suoi scritti, e di una bizzarra riscrittura del Dracula di Stoker; allo stesso tempo, con La madre e la morte conferma tanto la sua idea della paura come strumento “pedagogico”, che stimola l’immaginazione e aiuta ad affrontare la realtà, quanto il peso di una sorprendente vocazione di narratore orale, che per qualche anno ha ri-raccontato storie del terrore per una tv argentina via cavo: l’idea del libro, infatti, è nata quando Arispe ha ascoltato lo scrittore che narrava a modo proprio la novella di Andersen, rendendone più aguzzi gli spigoli e più cupe le tinte.

Quanto a Chimal, l’inclinazione per il mito e una scrittura intensamente poetica modulano un racconto archetipico e fitto di simboli, già apparso in una sua antologia di qualche anno fa, El País de los hablistas, collage di dieci magnifiche “leggende” su cui l’autore sembra fondare una personale cosmogonia. Ed è proprio Chimal ad aver dato la risposta migliore a chi gli ha chiesto se il meraviglioso, fosco e coltissimo volume illustrato da Arispe fosse o no destinato ai più piccoli (una domanda inevitabile, trattandosi di un album che il FCE ha collocato in una collana di specialissimi titoli per l’infanzia) “Questo non è tanto un libro per bambini – ha detto lo scrittore messicano, – quanto un libro per lettori”.

 

 

Questo articolo è apparso su Alfabeta 2 nell’ottobre del 2016