domenica 5 maggio 2019

Da leggere: Màrius Serra

Màrius Serra


Libri, rose e delitti 

Chi conosce Barcellona lo sa: il 23 aprile, giorno di Sant Jordi (ovvero San Giorgio, corredato di armatura e drago regolamentare), servono un’infinita pazienza e un’assoluta mancanza di fretta per farsi largo tra le migliaia di persone e le centinaia di bancarelle e di gazebo che riempiono il centro. Nessuna città, probabilmente, può vantarsi di una festa popolare (non un Salone, non una Fiera e nemmeno un festival) capace di raccogliere una simile folla attorno ai libri e, secondo tradizione, anche alle rose, preferibilmente rosse come il sangue del drago ucciso, dal quale nacque un maestoso rosaio. Da qui l’uso di offrire alle donne, nel giorno in cui il santo andò incontro al martirio, una rosa che è simbolo di amor cortese.

Nel 1927, ai fiori si sono aggiunti i libri, su proposta di un editore dotato, come tutti i catalani, del senso degli affari: così la Diada de Sant Jordi (dal 1995, per volere dell’Unesco, Giorno Internazionale del Libro e del Diritto d’Autore, che si festeggia in tutto il mondo) è diventata l’occasione per vendere, oltre che milioni di rose, anche un’enorme quantità di libri, parte dei quali firmati dagli autori, che fanno a gara per essere presenti e partecipano (purché catalani) a un premio letterario famoso e ambito, inaugurato nel 1947.

Màrius Serra, che il premio di cui sopra l’ha vinto nel 2012 e che da trent’anni firma le sue brave copie in postazioni sempre più centrali, l’anno scorso ha proposto ai lettori un catalanissimo giallo dedicato alla festa: Il romanzo di Sant Jordi, oggi tradotto da Beatrice Parisi per Marcos y Marcos (pag. 489, e. 18), da poco in libreria e da leggere anche se di Barcellona si conoscono, ohimè, solo la Sagrada Familia, una sfigurata Boqueria e le selvagge orde turistiche che percorrono il Casc antic. Molti riferimenti a luoghi e persone, molte allusioni ironiche e diversi sberleffi non verranno colti da chi non conosce quartieri, strade, piazze, case editrici, scrittori, giornalisti, uffici stampa locali, ma molti e molti altri verranno afferrati al volo, visto che l’editoria funziona più o meno dappertutto allo stesso modo, e che la trama non manca di personaggi noti ovunque, a volte corredati del loro vero nome, e altre nascosti sotto un’identità tenuemente fittizia.

Al di là della buona scrittura di Serra – che i lettori italiani già conoscono per via di Farsa, un romanzo apparso presso Neri Pozza nel 2008, e del bellissimo Quieto, pubblicato da Mondadori due anni dopo – e di una trama poliziesca avvincente, a rendere il libro originale e curioso sono le trappole, le trovate, l’intreccio tra realtà e finzione che l’autore ha allestito non solo per gli amanti dei delitti, ma soprattutto per quelli appassionati a giochi di ogni genere (di parole, da tavolo, di ruolo, enigmistici e così via), proprio come lui, che è un grande esperto in materia e cura per Catalunya Radio la rubrica Enigmàrius. A fargli da complice nella confezione del romanzo è stato Oriol Comas i Coma, un cinquantenne “giocologo” che esiste davvero ed è amico di Serra da più di trent’anni, e forse per questo gli ha permesso di trasformarlo nel protagonista del libro, in cui appare in veste di detective, intenzionato a scoprire come mai cinque scrittori presenti alla Diada de Sant Jordi (tutti celebri autori di best seller) vengano uccisi con un metodo alquanto sinistro, ma discretamente comico. Inutile dire che tra le vittime c’è anche Màrius Serra nelle vesti di se stesso, in quanto autore di un immaginario romanzo ispirato a Eleusis, famosissimo gioco creato da Robert Abbott nel 1956, che andrà pericolosamente realizzandosi nel corso della vicenda. In conclusione, un romanzo ironico e gradevolmente acido in cui si mescolano accenni alla Repubblica catalana, ritratti di scrittori dall’ego ingombrante, e la vivace satira di un business editoriale sempre più identificato con quello dell’intrattenimento. Nel frattempo, chi sta uccidendo gli scrittori del Sant Jordi, e perché? Lo scopriremo solo leggendo.

 

 

Questo articolo è apparso sul quotidiano Il manifesto nell’aprile del 2019