Di esilio in
esilio
Augusto Roa Bastos, il più grande scrittore paraguayano del ‘900, è morto in una clinica di Asunción, durante l’operazione cui era stato sottoposto in seguito a una caduta. Era nato nel 1917 proprio ad Asunción, da una famiglia della media borghesia, ma era cresciuto a Iturbe de Manora, un paesetto dove si parlava solo guaranì: un bilinguismo che segnò per sempre la sua opera, insieme ai racconti orali, ascoltati durante l’infanzia, sulla guerra della Triple Alianza e sul Paraguay del XIX secolo.
A quindici anni era fuggito dal collegio per partecipare come infermiere alla “grande avventura” della Guerra del Chaco (1932-1935), sanguinoso conflitto tra Bolivia e Paraguay del quale parlerà nel romanzo del 1960 Hijo de ombre (“Figlio dell’uomo”, Feltrinelli 1976), che la critica paragonò a certe opere di Faulkner. In seguito fu giornalista per il quotidiano di Asunción El País e inviato di guerra in Europa, dove, oltre a intervistare De Gaulle, assistette alla battaglia d’Inghilterra e al processo di Norimberga. Nel ’46 tornò in patria ma fu presto costretto a lasciarla perché la sua posizione apertamente di sinistra gli costò l’esilio, e nel 1947 dovette rifugiarsi a Buenos Aires, città in cui rimase per vent’anni, guadagnandosi da vivere come sceneggiatore e soggettista cinematografico di film “popolari”. Fu in Argentina che vennero pubblicate le sue opere più importanti (il primo romanzo, Fulgencio Mirando, era uscito nel ’41 in Paraguay), dalla raccolta di racconti El trueno entre las hojas (1953), dedicata alla difficile esistenza dei contadini paraguayani tra sfruttamento, guerra e conflitti culturali, a Hijo de ombre e soprattutto a quello che resta il suo capolavoro, Yo, El Supremo (uscito nel 1974 e tradotto in italiano nel 1978 per la Feltrinelli), romanzo-fiume sulla figura di José Gaspar Rodríguez de Francia (1766-1840), una sorta di sanguinario “monaco laico e anticlericale” che fu dittatore del Paraguay per 26 anni.
Testo estremamente complesso, Yo, El Supremo non dimentica la lezione dell’oralità guaranì, utilizza una punteggiatura non convenzionale e adotta innumerevoli registri narrativi, accostando frammenti di cronache e documenti dell’epoca, autentici o apocrifi, a voci diverse che si incrociano e si sovrappongono passando dalla prima alla terza persona e da un tempo verbale all’altro. Il risultato è un grande affresco sulla storia e le tradizioni del Paraguay, in cui sono ben individuabili il rimando alla follia del Don Chisciotte e l’influsso di Borges, assai evidente nel continuo intrecciarsi di realtà e di finzione. Il romanzo ebbe immediato successo e fu tradotto in diverse lingue (John Updike lo recensì sul New Yorker), ma venne messo al bando dalla giunta argentina in quanto “sovversivo” e contribuì al nuovo esilio dello scrittore: nel 1976, infatti, Roa Bastos fuggì da Buenos Aires appena in tempo per evitare l’arresto dai parte dei militari, che perquisirono e distrussero il suo appartamento. I vent’anni seguenti li avrebbe trascorsi in Francia, insegnando letteratura ispanoamericana all’Università di Tolosa, dove creò anche un corso di lingua e cultura guaranì. A Tolosa si sposò per la terza volta ed ebbe due dei suoi sei figli, per i quali scrisse deliziosi racconti tradotti anche in Italia (“Il pulcino di fuoco” e “I bambini volanti”, entrambi pubblicati da Mondadori). Nel 1989 la Spagna gli assegnò il Premio Cervantes per il complesso della sua opera, e, pur essendo tutt’altro che ricco, lo scrittore regalò al suo paese i 90.000 dollari del premio, per creare una casa editrice destinata a pubblicare giovani autori paraguayani. Fu proprio nel dicembre dell’89, dopo oltre quarant’anni di esilio, che Roa Bastos potè rientrare nel suo paese, ma solo nel ’96 sarebbe tornato a risiedervi stabilmente.
Chi l’ha conosciuto lo ricorda come un uomo di piccola statura, incredibilmente gentile e schivo, da sempre schierato con la causa dei diritti umani e delle libertà civili, che ha lasciato una traccia profonda nella letteratura ispanoamericana, anche se in Europa la sua figura è rimasta ai margini del cosiddetto Boom degli anni ’70. Tra le sue opere mai tradotte in italiano vale la pena di ricordare almeno le raccolte di poesia (El ruiseñor de la aurora del 1942 e El naranjal ardente del 1960), i molti ed eccellenti libri di racconti (El Baldio, Madera quemada, Moriencia, Contar un cuento y otros relatos, Cuerpo presente y otros cuentos) e romanzi come Vigilia del almirante (1992) e Los conjurados del quilombo del Gran Chaco (2001).
Questo articolo è uscito su Il Manifesto nell’aprile del 2005.
Chi l’ha conosciuto lo ricorda come un uomo di piccola statura, incredibilmente gentile e schivo, da sempre schierato con la causa dei diritti umani e delle libertà civili, che ha lasciato una traccia profonda nella letteratura ispanoamericana, anche se in Europa la sua figura è rimasta ai margini del cosiddetto Boom degli anni ’70. Tra le sue opere mai tradotte in italiano vale la pena di ricordare almeno le raccolte di poesia (El ruiseñor de la aurora del 1942 e El naranjal ardente del 1960), i molti ed eccellenti libri di racconti (El Baldio, Madera quemada, Moriencia, Contar un cuento y otros relatos, Cuerpo presente y otros cuentos) e romanzi come Vigilia del almirante (1992) e Los conjurados del quilombo del Gran Chaco (2001).
Questo articolo è uscito su Il Manifesto nell’aprile del 2005.