Mercè Rodoreda
I lettori italiani la
conoscono poco, anzi pochissimo, perché la maggior parte dei suoi libri, editi
a suo tempo da Mondadori e Giunti, e soprattutto da La Tartaruga e Bollati
Boringhieri, sono ormai introvabili e non hanno mai raggiunto un pubblico
realmente vasto, restando nascosti tra le pieghe di una editoria di nicchia,
nonostante (o forse a causa di) un alto livello letterario.Certo Mercè Rodoreda, nata a Barcellona nel 1908 e scomparsa nel 1983 non è una scrittrice "facilmente consumabile", ma chiunque abbia letto “Via delle camelie” (La Tartaruga 1991), “La morte e la primavera” (Sellerio 2005) o “Il giardino sul mare” (La Tartaruga
1990) non avrà dimenticato la sua straordinaria, quasi provocatoria modernità e
la scrittura avvolgente e sempre rinnovata che passa dal realismo “parlato” del
suo romanzo più noto, “La piazza del Diamante”, che le diede la fama, alla
molteplicità di voci e alla raffinata rielaborazione degli ingredienti tipici
del feuilleton, inseriti nell'audace struttura di “Lo specchio rotto” (Bollati Boringhieri 1992), forse la
sua opera più ambiziosa e complessa.
Una nuova occasione di
avvicinarsi a un'autrice così fuori del comune anche in un panorama ricco e
vitale come quello della letteratura catalana contemporanea, ce la offre adesso
il centenario della nascita che, celebrato in Spagna con mille iniziative
(spettacoli teatrali, letture pubbliche, mostre, pellegrinaggi nei luoghi della
sua vita), prevede anche la contemporanea pubblicazione in vari paesi di “La
Piazza del Diamante”, definito da García Márquez “il più bel romanzo pubblicato in Spagna dopo la
guerra civile”. A riproporlo in Italia è La Nuova Frontiera, che ha affidato a
Giuseppe Tavani la traduzione (la terza nella nostra lingua, dopo quelle di
Giuseppe Cintioli e di Anna Maria Saludes, che moltissimo ha fatto per
diffondere l'opera della scrittrice catalana in Italia), corredandola di una
nota di Sandra Cisneros, arrivata alla lettura della Rodoreda grazie alla
duplice «raccomandazione» di García Márquez e di un posteggiatore
d'auto messicano dagli ottimi gusti letterari.
Come molti altri, anche la
Cisneros ha cercato di ritrovare nella Barcellona di oggi le tracce
dell'autrice, cresciuta nel quartiere San Gervasi in una famiglia borghese che
adorava il teatro e la musica e che la ritirò assai presto dalla scuola perché stesse vicina al nonno ammalato. E, come hanno fatto i lettori barcellonesi nel corso di visite
accompagnate da letture ad alta voce, anche la scrittrice messicana ha
rintracciato uno dopo l'altro i luoghi narrati nei romanzi della Rodoreda,
trovandoli inesorabilmente stravolti dal tempo.
Il modo migliore di
compiere un simile percorso resta perciò quello di seguire pagina dopo pagina i
passi di Natalia, protagonista della Piazza del Diamante, che il fidanzato e
poi marito Quimet chiama Colometa (ossia Colombetta). È attraverso i suoi occhi
e la sua voce che l'autrice ci presenta il barrio de Gràcia e le strade della
vecchia Barcellona tra la fine degli anni '20 e l'inizio dei '50: una città
dapprima gioiosa in cui Colombetta, tutta vestita di bianco e con scarpe
bianche «come un sorso di latte», danza nella piazza sotto le ghirlande di
carta, ma che poi si fa ben più cupa, per arrivare al grigio, alla fame e alla
desolazione del dopoguerra.
“La Piazza del Diamante”,
romanzo in cui la Rodoreda si cimenta in un abilissimo uso del flusso di
coscienza, ruota dunque attorno a un grande ritratto al femminile, quello di
una ragazza del popolo come tante, modesta commessa di pasticceria pronta ad
accogliere e quasi a subire l'amore prepotente del suo Quimet e a trasformarsi
prima in una moglie sottomessa che lavora come domestica in casa di signori, e
poi in una madre travolta da una guerra che la priva di tutto, inghiottendo il
suo uomo, gli amici, ogni più piccola speranza.
Grazie a lei, Colombetta,
penetriamo in una città devastata e nel livido silenzio della posguerra spagnola, alla quale la
Rodoreda scampò rifugiandosi in Francia con altri intellettuali repubblicani (tra
i quali Armand Obiols, cui si unì dopo aver lasciato il marito-zio, fratello
maggiore della madre), ma solo per vivere nella desolazione, incapace per lungo
tempo di scrivere perché il dolorosissimo esilio, il rapporto difficile con il
pavido e amato Obiols, la miseria, la lontananza dalla propria lingua ne
avevano fatto “una superstite”. Le lettere all'amica Anna Murià (raccolte in “Un
vestito nero con paillettes”, Rosellina Archinto 1992) testimoniano di una
disperazione che molti anni dopo si trasformerà nel rifiuto di ogni contatto
con quanti le ricordano quella vita e quei tempi. Finché, a Ginevra, nascono
nel 1958 i Vint-i-dos contes
(“Colpo
di luna”, Bollati Boringhieri 1993), che preludono a “La Piazza del Diamante”,
scritto nel '62 e tradotto quasi subito in tutta Europa.
Come la protagonista del
suo romanzo, Mercè Rodoreda ce l'ha dunque fatta. Se Colometa, pronta a
uccidersi insieme ai suoi bambini ridotti pelle e ossa, viene salvata infine da
un incontro insperato, a salvare Mercè è il rinnovato incontro con la
scrittura. Quando rientra in Spagna, nei primi anni '70, è ormai famosa e le
sue opere più importanti sono state scritte. Si ritira in un paesetto sul mare,
Romanyà de la Selva, dove scriverà ancora, ma soprattutto si dedicherà a quello
che più la appassiona, il suo giardino.
Colometa è lontana eppure è sempre lì, come gli altri suoi personaggi
femminili, le sue protagoniste fragili ma decise a sopravvivere, seduttive e
tradite, lasciate perpetuamente sole da uomini deboli e ambigui che le
intrappolano in relazioni senza uscita. Uomini del tutto innecessari, ma così
sfuggenti da farsi credere indispensabili. E dietro di loro, dietro l'infinito
passo a due di coppie che sanno solo rendersi infelici, la Catalogna e
Barcellona a fare da sfondo, protagoniste quanto e più dei personaggi disegnati
con tale penetrazione e acume da far definire la loro creatrice una Virginia
Woolf mediterranea. Ma, a differenza di Virginia, Mercè poteva dire di se
stessa: «Ho sempre vissuto pericolosamente», scommettendo senza esitazioni sulla
realtà, sulla politica e sull'amore.