sabato 7 giugno 2014

Da leggere: Osvaldo Lamborghini


Osvaldo Lamborghini




Un classico segreto

Appena uscito per le edizioni Scheiwiller e affidato alla cura di Massimo Rizzante, cui si devono tanto la traduzione quanto il saggio introduttivo, Il ritorno di Hartz e altre poesie (pag. 208) è, per i lettori italiani, la prima occasione di confrontarsi con l’opera di Osvaldo Lamborghini, scrittore argentino di enorme importanza che da noi, tuttavia, quasi nessuno conosce. Un’ignoranza, scrive Rizzante, della quale non dobbiamo sentirci colpevoli, perché “Lamborghini è un maestro, anzi un classico segreto, anche in patria”. Il che vale indubbiamente per quel pubblico che, in Argentina come dovunque, sceglie le sue letture esclusivamente fra le attrazioni proposte dal luna-park dei best-sellers; ai lettori argentini appena più sofisticati, che non è indispensabile cercare nelle stanze dell’Accademia o delle riviste letterarie d’ogni ordine e grado, il nome di Lamborghini è ormai familiare, e non solo perché César Aira, suo grande estimatore e amico, ha curato l’edizione di tutte le sue opere, appoggiato dall’entusiasmo di lettori d’eccezione come Rodolfo Fogwill, Héctor Libertella e Arturo Carrera.

Intorno a Lamborghini, infatti, si è addensata negli ultimi anni un’attenzione da cui sono scaturiti numerosi lavori critici (uno per tutti, Y todo el resto es literatura, raccolta di saggi a cura di Natalia Brizuela e Juan Pablo Dabove, edita nel 2008 da Interzona), una biografia di oltre mille pagine, monumentale e pregevole impresa del critico Ricardo Strafacce pubblicata dalla Editorial Mansalva, e soprattutto una percettibile influenza su alcuni dei più giovani e interessanti scrittori argentini.

Benché il suo nome e la sua opera non siano più collocabili nello scaffale dei “segreti meglio custoditi”, Lamborghini – nato nel 1940 in una famiglia della buona borghesia e fratello di Leonidas, altro eccezionale poeta la cui vita sembra il perfetto opposto di quella del trasgressivo Osvaldo – resta comunque uno scrittore misterioso e non facile, la cui straordinaria scrittura (“dopo Borges, è difficile trovare negli ultimi decenni un’opera poetica così originale e inclassificabile”, fa notare Rizzante) rischia a ogni passo di essere cannibalizzata dalla leggenda relativa alla sua vita. Una leggenda “nera”, ovviamente, fatta di droghe, di psicofarmaci e alcool consumati in quantità inverosimile, di una irresponsabilità quasi infantile, di rabbiose rotture con gli amici, di idee politiche che dalla militanza peronista degli anni giovanili lo portarono lentamente a simpatizzare per l’ala destra del partito di Perón (“si identificava pienamente con alcuni settori sindacali duri, che erano già in contatto con il lopezreguismo”, ricorda il giornalista Roberto Guareschi, suo collega a El Cronista Comercial, e altri ex amici lo tacciarono di “populismo oligarchico”), di un tourbillon di posti di lavoro dove non si presentava quasi mai e che venivano subito abbandonati, di una passione senza fondo per la pornografia, di dipinti elaborati a partire dalle proprie feci e, infine, di una lunga e volontaria prigionia in un attico del Born, a Barcellona, la città in cui si era trasferito nel 1976, subito il colpo di stato militare, e dove morì di infarto nel 1985.

Per tre anni, racconta la sua ultima compagna Hanna Muck, non mise quasi mai piede fuori di casa, e, “nutrendosi di patate fritte e ravioli in scatola”, visse tra montagne di carte, di quadernini sui quali componeva collages con le immagini ritagliate da riviste porno, di cartelle in cui, come si scoprì dopo la sua morte, andava riponendo versi e prosa, il suo unico romanzo lungo (Tadeys, poi pubblicato nel 1994) e gli otto volumetti di Teatro Proletario de Cámara: più di tremila pagine, ovvero la maggior parte della sua opera, destinata alla pubblicazione postuma.

In vita, Lamborghini aveva pubblicato, con piccoli editori d’avanguardia che a stento riuscivano a venderne un migliaio di copie, soltanto tre libri, e non perché sdegnasse il pubblico o preferisse scrivere per “nessun lettore” (come teorizzerà Damián Tabarovsky nel suo Literatura de izquierda, polemico saggio del 2004), ma semplicemente perché scriveva poco e perché nulla, nei suoi testi, poteva sia pur vagamente compiacere il mercato. Solo la lunga auto-reclusione che lo vide, come un Proust rioplatense, tagliar fuori l’esterno per rinchiudersi in un bozzolo di carta, lo avrebbe indotto a concludere la sua vita scrivendo incessantemente, quasi a espiazione del tempo dilapidato con magnificente noncuranza.

Quei tre primi testi, ovvero El fiord (1969, storia di una vera e propria orgia di sangue e di sesso) e Sebregondi retrocede (1973), seguiti da Poemas (1980), erano stati comunque sufficienti a guadagnargli un manipolo di lettori entusiasti, storditi dalla violenza estrema della sua prosa e ammirati dalla qualità della sua scrittura, che fanno di lui un autentico “sabotatore” della letteratura, deciso a farla esplodere perché possa continuare a esistere.

Il corpo torturato e violato, il richiamo costante a un furore sadiano che non risparmia nessuno, inclusi bambini, partorienti, estranei innocentissimi e sciocchi come l’ingegnere giapponese Tokuro protagonista della nouvelle La causa justa, che ha il solo torto di prendere alla lettera gli scherzi osceni dei partecipanti a una partita fra “scapoli e ammogliati", insomma la ferocia di Lamborghini, la sua carnalità sanguinosa e scatologica, per molti critici hanno il sapore di un presagio, di una visione del terribile futuro preparato dalla dittatura; ad altri, invece, suggeriscono l'appartenenza di questo autore, in realtà assai poco classificabile, a quel fenomeno rigorosamente latinoamericano e di ascendenza caraibica che si usa chiamare neobarroco (a coniare il termine fu Severo Sarduy, squisito romanziere e saggista), del quale lo scrittore sembra condividere l’estetica basata sull’eccesso, la mobilità, la dissonanza, la frammentazione, il travestimento, l’ibrido (e in effetti, innamorato delle donne, Lamborghini non smise mai di aspirare a una femminilità metamorfica, a trasformarsi nel corpo desiderato indossando panni femminili e truccandosi vistosamente), l’edonismo e la centralità del desiderio.

Ma, se tutto questo è presente nella sua prosa come nella sua poesia (poesia spezzata, odiatrice della rima e della regolarità del metro, fitta di parole monche che vengono piegate a nuovi significati), bisogna anche dire che l’autore è andato molto più in là, facendo confluire nella sua scrittura la violenza della letteratura gauchesca, l’imprinting feroce del testo che è alle origini della letteratura argentina (El matadero di Esteban Echeverría, 1838), il marchio dell’allegoria politica, ma anche la parodia, la psicanalisi (Lamborghini, con Luis Gusmán e altri, aveva fondato la rivista Literal, influenzata da Lacan attraverso lo psicanalista Oscar Masotta), l’ambiguità sessuale e una bizzarra ironia: una trama complicata, dunque, inesauribile, polimorfica.

La pubblicazione di una parte delle sue poesie, tradotte con autentica perizia e sensibilità da Rizzante, è davvero un’occasione da non perdere: è ora che anche i lettori italiani di buona volontà facciano conoscenza con un autore ineludibile, che, pur profondamente e inequivocabilmente argentino, ha molto da dire a tutti noi e va considerato, senza lasciarsi avvincere e sviare delle brume leggendarie che lo vogliono scrittore “maledetto”, soprattutto in base alla sua voce, ancora oggi sostanzialmente unica.

 

 

Questo articolo è uscito su Il manifesto nel febbraio del 2013