Scrivere con il corpo
E’ per caso e per noia che Agustín Palant, scrittore argentino in trasferta nella New York degli anni ‘80, si ritrova ad assistere a uno dei mille spettacoli underground di cui è punteggiata la notte cittadina. Ed è per via di qualche indecifrabile emozione (non tanto erotica, quanto legata a una confusa nostalgia) che abborda l’attrice Edwina e la accompagna a casa attraverso un labirinto di strade sconosciute, per ritrovarsi in una camera da letto dove accade qualcosa di assolutamente imprevisto.
Là, infatti,
Agustín tira fuori il revolver appena comperato e fredda Edwina con un solo colpo
alla tempia, per poi correre a rintanarsi nel proprio appartamento, con le
viscere e il cervello ugualmente sconvolti. Chi, del resto, non sentirebbe la
propria mente vacillare se avesse appena ucciso una sconosciuta senza
premeditazione né motivo? Perché è andata proprio così: Agustín ha
sparato senza nemmeno darsi il tempo di pensarci…
Comincia qui, da un
delitto apparentemente senza spiegazione, il “Noir con argentini” di Luisa Valenzuela, approdata a questa sua
prima traduzione nella nostra lingua grazie alla Perosini Editore, piccola
impresa no-profit che va raccogliendo romanzi e racconti di paesi lontani e
“non dominanti”. Nel breve catalogo della collana Alfabeti la letteratura argentina, oceano del quale in Italia si
conosce sì e no la superficie (e non per difetto di traduzioni, ma piuttosto
per cronica mancanza di curiosità o, come osserva Carlos Fuentes, per “poca
fantasia”), è rappresentata assai bene da questo romanzo bizzarro e
inquietante, uscito in lingua originale nel 1990 e parte di un’opera che
comprende numerose novelas, svariati saggi e un congruo numero di
racconti riuniti nell’antologia Cuentos completos y uno mas
(Alfaguara 1999).
Nata nel 1938 a
Buenos Aires da una famiglia in cui Borges e Sabato erano di casa, la
Valenzuela ha vagabondato per buona parte della sua vita tra Europa e Stati
Uniti, e infine è tornata a stabilirsi nella capitale argentina, dove ha fatto
scandalo con la pubblicazione di Los deseos oscuros y los otros
(Editorial Norma) in cui sono raccolti i “diari intimi” degli anni newyorchesi:
una vera e propria sarabanda di incontri amorosi raccontati senza censure, che
approfondisce e completa il discorso
iniziato dall’autrice già nel 1972, con il romanzo El gato eficaz.
L’erotismo inteso
come tramite tra il corpo e la scrittura (ma anche come tentativo delle donne
di vedersi con i propri occhi e narrarsi con la propria voce, e non secondo gli
schemi imposti dallo sguardo maschile) è uno dei temi forti dell’opera di Luisa
Valenzuela, che anche in Noir con argentini esplora le pieghe del
desiderio, dalle più giocose alle più oscure. E’ dal corpo, dalle sue
metamorfosi, dal suo annientamento e dalla sua rinascita che parte il viaggio
dei due protagonisti, argentini cronicamente ammalati di esilio e travolti da
una vicenda che il lettore dovrà “sbucciare”con attenzione per portarne alla
luce uno dopo l’altro i diversi strati, ognuno dei quali completa il precedente e allo stesso tempo cerca di
smentirlo.
Nelle prime dieci
pagine sembra di essere alle prese con un classico hard boiled, secco,
veloce, essenziale, ambientato in una minacciosa New York fatta di vicoli, bar
malfamati, palazzoni dalle porte sbarrate, drogati, barboni ubriachi. Ma poi,
non appena entra in scena Roberta (anche lei scrittrice, nonché insoddisfatta
amante di Agustín), il romanzo diviene anche
discorso sulla scrittura: narratori all’inseguimento di storie che non si fanno
acchiappare, Roberta e Agustín danno il via a un’indagine che non cerca di
stabilire l’identità dell’assassino ma piuttosto di fargliela perdere, di
destrutturarla per scoprire il senso di un omicidio che entrambi hanno
immediatamente trasformato in letteratura
(il che non mitiga l’atrocità di un’esperienza estrema e la rende anzi più
acuta, perché la intreccia alla terribile afasia dello scrittore che, come
scrive Jorge Semprun in La escritura o la vida, fallisce nell’intento di
esprimere la morte per ridurla al silenzio, e perde così la propria lotta per la sopravvivenza).
Profondamente
diversi - lui affetto da una tenace impotenza creativa e amorosa, lei vitale,
furibonda e un tantino crudele - i due cominciano insieme un percorso segnato
da travestimenti, continui tentativi di sopraffarsi a vicenda, finzioni e
giochi, reclusioni e tradimenti, e infine dall’attraversamento di una metropoli
eccessiva e mutevole, che sembra contenere un riflesso della terrificante
Buenos Aires di un tempo: le sagge barbone ospitate nel rifugio dell’Esercito
della Salvezza rimandano alle madri di Plaza de Mayo, l’acqua del fiume evoca
corpi moribondi lanciati dagli elicotteri, “con il ventre squarciato perché non
galleggiassero”, gli enormi sacchi neri della spazzatura abbandonati nei vicoli
fanno pensare a quelli in cui venivano celate le vittime dei militari, e la
tortura politica si trasforma in consumismo sadomasochista grazie a una dominatrix come Ava Taurel (al secolo Eva Norvind),
personaggio reale che nel romanzo della Valenzuela appare au naturel, in
tacchi a spillo e corsetto di pelle, tale e quale la si può incontrare nel suo
Istituto newyorchese.
E’ qui, nella dark
room di Ava, che si svela il terzo livello di questo noir anomalo e
labirintico: la morte di Edwina (allegoria di tutte le vittime innocenti
torturate, violate, uccise durante la “sporca guerra” della dittatura militare)
ci rimanda a infinite altre, e dietro un vero e proprio fuoco di sbarramento
metaforico si scorge finalmente il
ritratto critico della realtà argentina, che fa da ordito a buona parte
dell’opera della Valenzuela. Mentre Ava governa serenamente il suo fast food
della tortura e Augustin incontra un inquietante guru tanatofilo (non si sa se
ex tupamaro o ex torturatore), si insinua nel lettore il dubbio che
l’assassinio di Edwina non abbia veramente avuto luogo: forse l’ombra che
incalza i due scrittori è quella della violenza più abietta, l’ombra di “un altro
paese, un’altra vita, un’altra storia”, che impone di dar voce al silenzio e di
lasciar affiorare nella scrittura ciò che il corpo sa e ricorda, e che noi non
vogliamo vedere.
Agustín, porteño
“bene” del Barrio Norte, compassato e formale, incarna tutti quegli argentini
che all’epoca della dittatura decisero di essere ciechi e sordi, e solo alla
fine diventa consapevole della storia sommersa che ha determinato la sua
condotta, la sua impotenza, il suo crimine forse solo fantasticato. Quanto a
Roberta, che immergendosi volontariamente nel gorgo dell’indagine ha rischiato
la disintegrazione e la follia, alla fine riuscirà a trionfare su Tanatos
grazie a un ritrovato furore erotico e a scrivere col proprio corpo un romanzo
che non si può leggere, perché scompare mano a mano che viene scritto.
Di nuovo il corpo,
dunque, inteso sia come luogo che custodisce segreti e risposte, sia come
spazio di rappresentazione del potere e allo stesso tempo strumento di rivolta
contro di esso. “Scrivere con il corpo”, imperativo continuamente ripetuto da
Roberta, è un atto politico, un tentativo di disintegrare l’ordine patriarcale,
la censura (intesa freudianamente come resistenza, ma anche come cancellazione
dell’altro), l’abuso di potere, il trauma rimosso, il rifiuto di varcare il
limite. Dire ciò che non si lascia dire, che ci viene impedito e che impediamo
a noi stessi di esprimere: ecco il senso della letteratura, l’unica sfida
veramente degna di essere affrontata.
“Per questo sostengo
che bisogna scrivere il non-scrivibile, parlare dell’inspiegabile. Altrimenti
continueremo semplicemente a raccontare le stesse storie in tanti modi diversi
" afferma Luisa Valenzuela. E, nel dire così, forse sta semplicemente
rispondendo alla domanda che Fuentes si pone in “Geografia del romanzo” (Pratiche,1997) e che tutti gli scrittori
dovrebbero porsi: “Che cosa può dire oggi il romanzo, che non possa essere detto in nessun altro modo?”
Questo articolo è apparso su Il
Manifesto nel 2003