sabato 7 giugno 2014

da leggere: Luisa Valenzuela


 
Luisa Valenzuela


Scrivere con il corpo

E’ per caso e per noia che Agustín Palant, scrittore argentino in trasferta nella New York degli anni ‘80, si ritrova ad assistere a uno dei mille spettacoli underground di cui è punteggiata la notte cittadina. Ed è per via di qualche indecifrabile emozione (non tanto erotica, quanto legata a una confusa nostalgia) che abborda l’attrice Edwina e la accompagna a casa attraverso un labirinto di strade sconosciute, per ritrovarsi in una camera da letto dove accade qualcosa di assolutamente imprevisto. 
Là, infatti, Agustín tira fuori il revolver appena comperato e fredda Edwina con un solo colpo alla tempia, per poi correre a rintanarsi nel proprio appartamento, con le viscere e il cervello ugualmente sconvolti. Chi, del resto, non sentirebbe la propria mente vacillare se avesse appena ucciso una sconosciuta senza premeditazione né motivo? Perché è andata proprio così: Agustín ha sparato senza nemmeno darsi il tempo di pensarci…
Comincia qui, da un delitto apparentemente senza spiegazione, il “Noir con argentini” di Luisa Valenzuela, approdata a questa sua prima traduzione nella nostra lingua grazie alla Perosini Editore, piccola impresa no-profit che va raccogliendo romanzi e racconti di paesi lontani e “non dominanti”. Nel breve catalogo della collana Alfabeti la letteratura argentina, oceano del quale in Italia si conosce sì e no la superficie (e non per difetto di traduzioni, ma piuttosto per cronica mancanza di curiosità o, come osserva Carlos Fuentes, per “poca fantasia”), è rappresentata assai bene da questo romanzo bizzarro e inquietante, uscito in lingua originale nel 1990 e parte di un’opera che comprende numerose novelas, svariati saggi e un congruo numero di racconti riuniti nell’antologia Cuentos completos y uno mas (Alfaguara 1999).
Nata nel 1938 a Buenos Aires da una famiglia in cui Borges e Sabato erano di casa, la Valenzuela ha vagabondato per buona parte della sua vita tra Europa e Stati Uniti, e infine è tornata a stabilirsi nella capitale argentina, dove ha fatto scandalo con la pubblicazione di Los deseos oscuros y los otros (Editorial Norma) in cui sono raccolti i “diari intimi” degli anni newyorchesi: una vera e propria sarabanda di incontri amorosi raccontati senza censure, che approfondisce e completa il discorso  iniziato dall’autrice già nel 1972, con il romanzo El gato eficaz.
L’erotismo inteso come tramite tra il corpo e la scrittura (ma anche come tentativo delle donne di vedersi con i propri occhi e narrarsi con la propria voce, e non secondo gli schemi imposti dallo sguardo maschile) è uno dei temi forti dell’opera di Luisa Valenzuela, che anche in Noir con argentini esplora le pieghe del desiderio, dalle più giocose alle più oscure. E’ dal corpo, dalle sue metamorfosi, dal suo annientamento e dalla sua rinascita che parte il viaggio dei due protagonisti, argentini cronicamente ammalati di esilio e travolti da una vicenda che il lettore dovrà “sbucciare”con attenzione per portarne alla luce uno dopo l’altro i diversi strati, ognuno dei quali completa  il precedente e allo stesso tempo cerca di smentirlo.
Nelle prime dieci pagine sembra di essere alle prese con un classico hard boiled, secco, veloce, essenziale, ambientato in una minacciosa New York fatta di vicoli, bar malfamati, palazzoni dalle porte sbarrate, drogati, barboni ubriachi. Ma poi, non appena entra in scena Roberta (anche lei scrittrice, nonché insoddisfatta amante di Agustín), il romanzo diviene anche discorso sulla scrittura: narratori all’inseguimento di storie che non si fanno acchiappare, Roberta e Agustín danno il via a un’indagine che non cerca di stabilire l’identità dell’assassino ma piuttosto di fargliela perdere, di destrutturarla per scoprire il senso di un omicidio che entrambi hanno immediatamente trasformato in letteratura (il che non mitiga l’atrocità di un’esperienza estrema e la rende anzi più acuta, perché la intreccia alla terribile afasia dello scrittore che, come scrive Jorge Semprun in La escritura o la vida, fallisce nell’intento di esprimere la morte per ridurla al silenzio, e perde così  la propria lotta per la sopravvivenza).
Profondamente diversi - lui affetto da una tenace impotenza creativa e amorosa, lei vitale, furibonda e un tantino crudele - i due cominciano insieme un percorso segnato da travestimenti, continui tentativi di sopraffarsi a vicenda, finzioni e giochi, reclusioni e tradimenti, e infine dall’attraversamento di una metropoli eccessiva e mutevole, che sembra contenere un riflesso della terrificante Buenos Aires di un tempo: le sagge barbone ospitate nel rifugio dell’Esercito della Salvezza rimandano alle madri di Plaza de Mayo, l’acqua del fiume evoca corpi moribondi lanciati dagli elicotteri, “con il ventre squarciato perché non galleggiassero”, gli enormi sacchi neri della spazzatura abbandonati nei vicoli fanno pensare a quelli in cui venivano celate le vittime dei militari, e la tortura politica si trasforma in consumismo sadomasochista grazie a una dominatrix  come Ava Taurel (al secolo Eva Norvind), personaggio reale che nel romanzo della Valenzuela appare au naturel, in tacchi a spillo e corsetto di pelle, tale e quale la si può incontrare nel suo Istituto newyorchese.
E’ qui, nella dark room di Ava, che si svela il terzo livello di questo noir anomalo e labirintico: la morte di Edwina (allegoria di tutte le vittime innocenti torturate, violate, uccise durante la “sporca guerra” della dittatura militare) ci rimanda a infinite altre, e dietro un vero e proprio fuoco di sbarramento metaforico si scorge finalmente il  ritratto critico della realtà argentina, che fa da ordito a buona parte dell’opera della Valenzuela. Mentre Ava governa serenamente il suo fast food della tortura e Augustin incontra un inquietante guru tanatofilo (non si sa se ex tupamaro o ex torturatore), si insinua nel lettore il dubbio che l’assassinio di Edwina non abbia veramente avuto luogo: forse l’ombra che incalza i due scrittori è quella della violenza più abietta, l’ombra di “un altro paese, un’altra vita, un’altra storia”, che impone di dar voce al silenzio e di lasciar affiorare nella scrittura ciò che il corpo sa e ricorda, e che noi non vogliamo vedere.
Agustín, porteño “bene” del Barrio Norte, compassato e formale, incarna tutti quegli argentini che all’epoca della dittatura decisero di essere ciechi e sordi, e solo alla fine diventa consapevole della storia sommersa che ha determinato la sua condotta, la sua impotenza, il suo crimine forse solo fantasticato. Quanto a Roberta, che immergendosi volontariamente nel gorgo dell’indagine ha rischiato la disintegrazione e la follia, alla fine riuscirà a trionfare su Tanatos grazie a un ritrovato furore erotico e a scrivere col proprio corpo un romanzo che non si può leggere, perché scompare mano a mano che viene scritto.
Di nuovo il corpo, dunque, inteso sia come luogo che custodisce segreti e risposte, sia come spazio di rappresentazione del potere e allo stesso tempo strumento di rivolta contro di esso. “Scrivere con il corpo”, imperativo continuamente ripetuto da Roberta, è un atto politico, un tentativo di disintegrare l’ordine patriarcale, la censura (intesa freudianamente come resistenza, ma anche come cancellazione dell’altro), l’abuso di potere, il trauma rimosso, il rifiuto di varcare il limite. Dire ciò che non si lascia dire, che ci viene impedito e che impediamo a noi stessi di esprimere: ecco il senso della letteratura, l’unica sfida veramente degna  di essere affrontata.
“Per questo sostengo che bisogna scrivere il non-scrivibile, parlare dell’inspiegabile. Altrimenti continueremo semplicemente a raccontare le stesse storie in tanti modi diversi " afferma Luisa Valenzuela. E, nel dire così, forse sta semplicemente rispondendo alla domanda che Fuentes si pone in “Geografia del romanzo” (Pratiche,1997) e che tutti gli scrittori dovrebbero porsi: “Che cosa può dire oggi il romanzo, che non  possa essere detto in nessun altro modo?”

Questo articolo è apparso su Il Manifesto nel 2003