sabato 7 giugno 2014

Da leggere: un percorso LGBT in Argentina



Da El matadero a Soy, un percorso LGBT in Argentina

Vivian ed Eduardo si sono sposati nella palestra del Penitenziario di Ezeiza, Buenos Aires. Lui in giacca scura, lei in abito bianco e mazzolino di margherite, dopo la cerimonia hanno fatto ritorno ciascuno nella sua cella, Vivian nel settore dei travestiti, Eduardo in quello riservato agli omosessuali. Il loro, infatti, è uno dei tanti matrimonios igualitarios (il primo tra detenuti) celebrati in Argentina dopo il luglio del 2010, grazie alla legge che consente a persone dello stesso sesso di sposarsi e di godere dei medesimi diritti di una coppia eterosessuale (un primo bilancio della sua applicazione lo si trova in Matrimonio igualitario di Bruno Bimbi, edito da Planeta nel 2011). Una storia piccola, quella dei due ragazzi che si sono ritrovati in galera dopo essersi innamorati e persi quando erano liberi. Come una storia piccola è quella di María Belén, giovanottone di Cordoba in abiti femminili, cui un anno fa un giudice ha affidato in via definitiva i due fratellini di cui si è presa cura sin da quando erano piccolissimi, sottraendoli a continue violenze.

Entrambe le vicende sono un esempio di come l’Argentina sia cambiata e stia cambiando, sia pur lentamente, grazie a leggi per le quali la comunità LGBT ha combattuto per anni e che i gay italiani possono solo sognare. Ma soprattutto sembrano narrazioni già pronte a uscire dalle pagine di cronaca per confluire nei racconti e romanzi che la letteratura argentina va producendo intorno al tema dell’omosessualità, che nel corso del tempo l’ha segnata così profondamente. Un fiume carsico che solo in anni relativamente recenti è venuto in superficie, ma che secondo Adrián Mel, autore di El amor de los muchachos. Homosexualidad y literatura (Ediciones Lea, pag. 345, 2005), nasce con uno dei primi racconti argentini, El matadero di Esteban Echeverría (1838), di cui è uscita di recente una bella traduzione con testo a fronte presso l’editore Portaparola (Il mattatoio, pag. 96).

Il protagonista è un giovane patriota aitante e ben vestito che, passando vicino a un macello di Buenos Aires, viene sequestrato da brutali matarifes neri e mulatti e si salva dall’essere violato solo grazie a una crisi di furore così violenta da ucciderlo: una chiara metafora dell’Argentina all’epoca del dittatore Rosas e del contrasto tra “civiltà e barbarie” descritto da Domingo Sarmiento, ma anche un testo suscettibile di altre letture, che secondo Melo possiede “evidenti connotazioni erotiche, sadomasochiste e vampiriche” proprio per la centralità di quel corpo maschile denudato, costretto, minacciato.

Nella nascente letteratura nazionale “sesso, politica, disprezzo e tragedia” si danno dunque la mano e preannunciano lo sporadico e allusivo affiorare della presenza omosessuale nei testi del XIX secolo, come En la sangre di Eugenio Cambaceres (1887), il cui protagonista è un giovane italiano di repellente bruttezza che gioca a “uomini e donne” con altri ragazzi di strada. Percepiti come pericolo non soltanto sociale, ma sessuale, i corpi rudi degli immigrati o quelli degli ebrei dipinti come “manierati ed effeminati” in La bolsa di Julian Martel (1891), il primo romanzo antisemita argentino, continuano a corrispondere, nell’immaginario della borghesia, a quelli corruttori dei matarifes del racconto di Echeverría.

Nei romanzi e nella realtà l’omosessuale è un nemico, un peccatore da punire che nel ventesimo secolo diventerà un malato per la scienza e un reo per la società civile, come fa notare Osvaldo Bazán nella sua imponente Historia de la homosexualidad en Argentina. De la conquista de America al siglo XXI (Editorial Marea, pag. 480, 2004), in cui si legge del decreto di un generale peronista che impediva agli omosessuali di votare, per “ragioni di indegnità”.

Se nel vicino Brasile già nel XIX secolo appaiono romanzi come quelli di Adolfo Ferreira Caminha (Playground ha pubblicato nel 2005 il suo Il negro) che affrontano esplicitamente tematiche omosessuali, in Argentina bisognerà aspettare il 1926 per scoprire in Il giocattolo rabbioso, primo romanzo di Roberto Artl, quella che è forse la prima vera scena omosessuale: un approccio denunciato dal protagonista adolescente come una disgustosa “aberrazione”. Ed è solo a partire dagli anni ’50 che cominciano a uscire testi immediatamente censurati, come La narración de la historia del filosofo e romanziere Carlos Correas (1959) e, nel ’64, l’eccezionale romanzo urbano Asfalto di Renato Pellegrini, su un ragazzo di provincia perso nella Gran Buenos Aires, che costerà alcuni mesi di prigione al suo autore e che, a lungo dimenticato, è stato riproposto finalmente dalla Editorial Tirso, ma risulta inesplicabilmente inedito in Italia nonostante la grande qualità di una scrittura durissima e asciutta.

È all’inizio della decade del ’70, però, che la letteratura a tematica gay offre i suoi testi migliori, in coincidenza con la fondazione del Frente de Liberación Homosexual Argentino e con l’inizio di una serie di lotte proiettate non solo all’esterno, ma anche all’interno della sinistra, che coltivava come tutti il mito nazionale della virilità ed era lontana dall’elaborare una visione diversa da quella tradizionale (una splendida radiografia dei rapporti tra il militante-tipo e il marica la offre Manuel Puig nel suo Il bacio della donna ragno, la cui edizione più recente è quella nei tascabili Feltrinelli). Escono tra gli altri, nel giro di pochi anni, un crudele capolavoro mai abbastanza apprezzato dai lettori italiani come The Buenos Aires Affair di Manuel Puig (Sellerio, 2000, pag.312), Solo Angeles di Enrique Medina, La boca de la ballena di Héctor Lastra (altro romanzo che meriterebbe una traduzione), Monte de Venus di Reina Roffè, una delle poche a parlare dell’amore tra donne, sul quale ha sempre pesato un doppio interdetto e di cui molto si tacerà fino all’uscita di En breve carcel (1981) di Sylvia Molloy, grande studiosa che vive da quarant’anni negli Stati Uniti dove ha insegnato a Princeton e a Yale, ma anche autrice di pochi bellissimi romanzi, come El común olvido (Editorial Norma, 2002. pag. 356), in cui un uomo di mezza età scopre il passato lesbico, nascosto e represso, della madre morta.

A questa fioritura corrisponde però una diaspora: minacciati dalla Triple A per il loro orientamento sessuale ancor prima che politico, vanno in volontario esilio Manuel Puig (scrittore da cui non si finisce mai di imparare e che tutti, oggi, dovrebbero riprendere in mano per rendersi conto di quanto la sua opera sia attuale e la sua lezione indispensabile) e il sulfureo Néstor Perlongher, poeta e sociologo, militante del Partido Obrero e del FLHA, nonché autore di tre spettacolari raccontini “maledetti” su quella grande icona gay che è Evita; e se ne erano già andati in Francia Hector Bianciotti – che nel suo Lo que la noche cuenta al día racconta l’imposizione del codice eterosessuale come unico possibile nella Buenos Aires peronista – e Raúl Damonte alias Copi, marica estremo e provocatorio, disegnatore geniale e autore di teatro, ma anche di romanzi scritti direttamente in francese, come Le bal des folles e La guerre des pédés, che oggi vengono riscoperti dai lettori argentini.

Il buio della dittatura militare sta per travolgere il paese, e i gay verranno perseguiti con speciale ferocia: molti scompariranno (anche se, in parte per le pressioni della Chiesa, in parte per autocensura, nessuno riconoscerà mai l’orientamento sessuale come causa di desaparición), mentre movimenti ed associazioni verranno disarticolati. Al profondo silenzio di quegli anni, tuttavia, dopo il ritorno della democrazia corrisponderà la lenta ma decisa apparizione di personaggi, storie e scritture omosessuali, in grandi romanzi come Plata quemada (Soldi bruciati, Feltrinelli, 2008) di Ricardo Piglia – uno dei più grandi scrittori argentini dei nostri giorni – in cui si narra di due rapinatori legati da un sodalizio amoroso che nel 1965 svaligiano una banca e fuggono in Uruguay, dove moriranno insieme in uno scontro con la polizia. E di grande spessore è la trilogia di Guillermo Saccomanno che include La lengua del malón, El amor argentino e 77 (quest’ultimo pubblicato in Italia da Tropea nel 2010), il cui protagonista è il professor Gómez, omosessuale che si nasconde da sempre, sotto il peronismo come durante la dittatura militare. I tre romanzi, che raccontano trent’anni di violenza politica ricorrendo abilmente alla formula del noir, sono anche uno spaccato straordinario della vita di un gay in una società omofoba che può privarlo di tutto all’improvviso (il lavoro, la casa, la vita) e che lo costringe al segreto e alla marginalità. Il tutto complicato da un rischioso amore con un poliziotto dalla doppia vita, violento e fedele al regime.

Di silenzio, oscurità, rabbia, parla anche La brasa en la mano (1983), il primo dei due romanzi di un buon poeta morto di AIDS nel 1994, Oscar Villordo, che ha raccontato con grande crudezza ed efficacia, in questa novela autobiografica che parte dagli anni di infanzia, la vita di un giovane omosessuale nella Buenos Aires degli anni ’50 e ’60. A lui è dedicata oggi la prima biblioteca argentina a tematica omosessuale, aperta l’anno scorso a Buenos Aires. Ed è sui suoi scaffali come su quelli di Otras Letras, l’unica libreria LGBT della città, che si allineano le opere delle ultime generazioni, dalle antologie come Historia di un deseo (Planeta, 2000) e Aventuras (Ediciones Belleza y Felicidad, 2002), ai romanzi e ai racconti di autori che si chiamano Rubén Mettini, Leopoldo Brizuela, Alejandro Margulis, Diego Vecchio, Laura Ramos, Dalia Rossetti, Fernanda Laguna.

Convinti come sono che la letteratura gay non esista, tutti affermano che non si tratta di un genere, ma semplicemente di un tema che riaffiora – oppure no – nei loro libri come in quelli di scrittori eterosessuali, con la naturalezza consentita da tempi in cui uno dei principali quotidiani argentini, Pagina/12, pubblica un supplemento intitolato Soy e interamente dedicato alla cultura LGBT, e telenovelas come Botineras, ambientate nel mondo del calcio, propongono ardenti scene di sesso tra i protagonisti maschili. Ma, nonostante siano consapevoli dell’esistenza di un mercato gay pronto a consumare prodotti culturali amabilmente light, nessuno di loro sembra disposto a fare concessioni in questo senso. Il che, inutile dirlo, è davvero un buon segno.

 

 

Questo articolo è uscito su Il manifesto nell’aprile del 2011