Walsh per sempre
Grande giornalista, pioniere della crónica – ossia di un genere che affronta
l’inchiesta con gli strumenti della narrativa e che in America Latina è intensamente
praticato –, traduttore, compilatore di preziose antologie, commediografo, scrittore,
direttore di riviste popolari, di agenzie di stampa e di giornali clandestini, crittografo
dilettante che nei suoi anni cubani decifrò il dispaccio segreto in cui si annunciava
lo sbarco nella Baia dei Porci, montonero catturato con le armi in pugno
e trascinato moribondo nelle viscere della ESMA: tutto questo, e molto di più, è
stato Rodolfo Walsh, intellettuale multiforme e coerente che ha lasciato un segno
profondo e duraturo nella cultura non solo argentina e latinoamericana.
Anche per lui, tuttavia, rischia di valere quanto Juan Baptista Duizeide ha
osservato in suo recente saggio su Haroldo Conti (Alrededor de Haroldo Conti,
Ediciones Sudestada 2013), altro autore argentino di indiscutibile rilevanza e membro
del Partido Revolucionario de los Trabajadores, la cui vita sembra curiosamente
speculare a quella di Walsh, nonostante le considerevoli differenze politiche, letterarie
e caratteriali che li divisero. Conti, inghiottito dall’ESMA alla fine del ’76 e
torturato a morte, secondo Duizeide non verrebbe considerato per la sua opera, ma
in quanto appartenente a “una nuova categoria, quella degli scrittori desaparecidos”:
un’etichetta totalizzante, continua lo studioso, che da una parte ne appiattisce
la complessità umana e letteraria, e dall’altra assomiglia a “una criminale imposizione
del nemico”. Non si può negare, infatti, che l’aura di tragico eroismo conferita
a Walsh dalle circostanze della sua scomparsa, così come la sua qualità di militante
e di straordinario giornalista impegnato a narrare l’Argentina del ventennio ’50-’70,
abbiano contribuito a porne in secondo piano l’opera più prettamente letteraria,
che lo colloca tra i più grandi scrittori di lingua spagnola del ’900. A sancire
definitivamente la sua entrata nel canone della letteratura argentina è stata la
pubblicazione dei Cuentos completos, apparsi in Spagna nel 2010 per le edizioni
Veintisieteletras e curati da Viviana Paletta, in cui alle sue quattro raccolte
più note si sommano ventitré racconti mai apparsi in volume e usciti su diverse
riviste (un’ altra edizione, curata e prefata da Ricardo Piglia, è apparsa l’anno
scorso in Argentina presso le gloriose Ediciones de la Flor di Daniel Divinsky,
con la preziosa aggiunta di un testo inedito e di alcune interviste introvabili
e rivelatrici che Piglia e Rosalba Campra fecero all’autore).
Solo oggi, in coincidenza con il trentasettesimo anniversario della morte di
Walsh, avvenuta il 25 marzo del 1977, parte di questi racconti arriva finalmente
in Italia, nella traduzione di Anna Boccuti ed Elena Rolla per l’editore La Nuova
Frontiera: riunite in un unico volume intitolato Fotografie (pag. 211), le
antologie I riti terreni del 1965 e Un chilo d’oro del 1967 non mancheranno
di stupire chi, conoscendo la storia di Walsh e avendo letto almeno una delle sue
tre grandi inchieste “narrate” (l’unica tradotta è Operazione massacro (La
Nuova Frontiera 2011); le altre due sono Quien mató a Rosendo e El caso
Satanowsky), potrebbe aspettarsi una letteratura di esplicita denuncia, invece
di una narrativa capace di affidare al lettore il compito di individuare il filo
rosso che testimonia dell’impegno di uno scrittore, ma anche e soprattutto della
sua devozione alle ragioni del racconto. A sorprendersi, però, saranno soprattutto
quanti già conoscono i racconti gialli di Variazioni in rosso che, pubblicate
in italiano nel 1998 da Sellerio, risalgono al 1953 e rappresentano l’esordio letterario
di Walsh. La sua scrittura degli inizi è infatti legata al poliziesco classico inglese
e americano, quello firmato Ellery Queen, Patrick Quentin e soprattutto Cornell
Woolrich, tutti autori da lui tradotti per la Hachette, casa editrice dov’era entrato
giovanissimo e per la quale aveva anche curato una antologia, Diez cuentos policiales
argentinos, che includeva racconti di Borges, Manuel Peyrou e Jeronimo del Rey.
La distanza tra Variazioni in rosso e Fotografie si nota a colpo
d’occhio: pur gradevoli, i racconti polizieschi di Walsh sono tutto sommato modesti
e lievemente scolastici, e niente sembra annunciare la lingua ruvida ed essenziale
e lo stile sincopato, le frasi tronche al punto da apparire ermetiche ai più pigri
e che, scrive giustamente Anna Boccuto nella sua bella postfazione, sembrano esigere
la complicità di chi legge e fanno della voluta incompletezza, delle cesure improvvise
e delle infinite allusioni una straordinaria risorsa narrativa, sollecitando la
capacità di navigare tra il non detto e la pluralità dei punti di vista che l’autore
tratteggia e accosta (si veda il doppio binario, anche grafico, su cui scorrono
in parallelo le voci di un traduttore e del suo editore nel bellissimo Nota a
piè di pagina, in cui il testo in basso, frutto di una desolata emarginazione
umana e culturale, finisce per divorare e cancellare quello in alto, espressione
di una dominante e feroce “normalità”).
È attraverso racconti come Foto o Lettere che vediamo affiorare
l’immagine di un’Argentina provinciale e remota durante la Década Infame,
gli anni che fra il 1930 e il 1943 videro un succedersi di colpi di stato e regimi
dittatoriali: storie di ragazzi come Mauricio, condannati alla rabbia e alla follia
dalla impossibilità di esprimere la propria visione del mondo, ma anche ritratti
di famiglie come quella dei potentissimi e corrotti Tolosa, pronti a enormi soprusi
cui a stento ci si preoccupa di dare una spolverata di legalità, e di comunità rurali
immerse nel torpore e nell’impotenza. Ed è in storie magistrali come Irlandesi
dietro a un gatto e I riti terreni che troviamo l’eco dell’infanzia e
della preadolescenza di Walsh, trascorse in due collegi retti da religiosi e creati
per i figli dei connazionali meno abbienti dagli irlandesi immigrati in Argentina:
quel periodo difficile e oscuro si trasforma in narrazione efficacissima ed inquietante
su un’età della vita e su una comunità chiusa in balìa di una cultura violenta e
gerarchica, giustificata dalla religione e dalla fedeltà ai valori del “vecchio
mondo”. Insieme a El 37 e Un oscuro día de justicia, presenti nei
Cuentos Completos ma non in Fotografie, i racconti formano una sorta
di iniziatica “saga degli irlandesi” che sfiora il capolavoro, come ha riconosciuto
Ricardo Piglia.
Ed è ovvio che ad aprire l’antologia sia il più celebre fra i racconti di Walsh,
quello che fa da ponte tra la sua attività di giornalista e quella più squisitamente
letteraria: Quella donna, dialogo tra un colonnello dei servizi segreti e
un giornalista che vuole a tutti i costi scoprire dove si trova il cadavere della
mai nominata Evita Perón, prima offerto all’adorazione popolare nella sede della
CGT e poi trafugato nel 1955 dal governo golpista e nascosto per sedici anni, in
quanto oggetto intrinsecamente sedizioso, fino ad approdare nel cimitero Monumentale
di Milano. Dovute all’odio delle oligarchie, a passioni più che torbide, all’adorazione
smisurata e santificante dei suoi fedeli e infine a una incontestabile necrofilia
dai contorni collettivi, le incredibili peripezie di questo cadavere viaggiatore,
profanato e violato, sono note a chiunque conosca la storia argentina o abbia semplicemente
letto il romanzo-crónica Santa Evita di Tomás Eloy Martínez (Edizioni
Sur 2012), altro grande giornalista e scrittore argentino che ha condiviso con Walsh
il desiderio di scoprire la verità su quel corpo che l’imbalsamazione faceva apparire
incorrotto. Su di esso, come attorno alla figura enigmatica, travolgente e modernissima
di Evita, è nata del resto una vasta letteratura che sfiora tutti i possibili registri,
dalla satira alla Copi al melodramma, dal romanzo storico al gotico dei tre racconti
neri e “maledetti” del poeta Néstor Perlongher: ma l’essenza, il puro distillato
di questo dramma tutto argentino, vanno cercati nella raffinata e inimitabile economia
di mezzi del breve testo di Walsh, che una volta di più e senza discostarsi dalla
verità è riuscito a trasformare in letteratura le vicende del suo paese, incarnate
in un singolo individuo e proprio per questo, forse, pronte a diventare storia di
tutti.
Questo articolo è uscito su Il manifesto nel marzo del 2014