Rodolfo Enrique Fogwill |
La guerra come racconto
Si chiamava Rodolfo Enrique Fogwill (Quique, diminutivo infantile, per gli amici
più stretti), ma a un certo punto della sua vita e precisamente nel 1985, quando
pubblicò Pajaros de la cabeza, settimo dei suoi ventidue libri, diventò Fogwill
e basta. Da raffinatissimo editore qual era, aveva deciso che i suoi nomi di battesimo
rovinavano l’equilibrio della copertina: e da quel momento il suo cognome diventò
non solo una firma, ma un marchio di fabbrica.
Nell’agosto del 2010, quando morì per un cancro al polmone alla soglia dei settant’anni,
era Fogwill da almeno un quarto di secolo, e ai suoi lettori di lingua spagnola
sembrerebbe senz’altro curiosa la copertina di Scene da una battaglia sotterranea
(Sur), in cui appare il suo nome di battesimo. Che lo si chiami in un modo o nell’altro,
l’importante è che Fogwill si possa finalmente leggere in italiano (la traduzione,
eccellente, è di Ilide Carmignani) e proprio a partire dal suo romanzo più famoso,
forse il migliore e il più significativo tra quelli che riguardano il conflitto
delle Malvine, scritto in pochissimi giorni dall’inizio della guerra.
Il titolo originale è Los pichiciegos, nome con cui si autodefinisce
un gruppo di soldati argentini catapultati su un’isola gelida combattere un nemico
che non riescono a vedere, e che si nascondono come i minuscoli armadilli albini
(per l’appunto i pichiciegos) che scavano lunghe tane sotterranee nelle pianure
argentine. Preoccupati solo di sopravvivere, ammucchiare provviste, sfuggire al
combattimento, i soldati si organizzano in fretta in una piccola, feroce comunità
che sembra riprodurre le dinamiche e le gerarchie dell’esterno. E i pochi che torneranno
a casa dopo la sconfitta resteranno segnati per sempre da quel crudelissimo “gioco
a nascondere”, ma anche dall’aver condotto una guerra interna che miniaturizza ed
esaspera quella imposta dalla dittatura. Una guerra, dice Carlos Gamerro (anche
lui autore di un bel romanzo sulle Malvine, Las Islas), che da subito fu
finzione, racconto: “Fogwill scrive durante i fatti; anzi, scrive prima dei fatti.
Dopo, i fatti vennero a confermare quello che lui già aveva scritto”.
Libro che ha segnato un’epoca e che è impossibile ignorare, Los Pichiciegos
è una delle espressioni migliori della prosa energica e musicale, di Fogwill, che
come Aira è stato fortemente influenzato da Osvaldo Lamborghini (il suo Helpael,
versione porno-infernale dell’Aleph borgesiano, ne è la testimonianza più
evidente), e come lui personaggio estremo, eccessivo, capace di vivere più vite
in una sola: un uomo di immensa cultura che è stato via via proprietario di una
agenzia pubblicitaria di successo, professore universitario, editore di straordinario
livello, truffatore condannato e incarcerato, poeta fuori del comune, scrittore
audace. In pubblico indossava l’abito di una irridente sgradevolezza, si burlava
del mondo proclamandosi contrario all’aborto e al divorzio (lui, che si era separato
tante volte), alla legalizzazione della droga (lui, che per diciassette anni aveva
speso una fortuna in cocaina) e perfino negazionista: tutte idee, assicura chi lo
conosceva bene, che in realtà non condivideva, e la cui enunciazione corrispondeva
alla sfida rabbiosa di chi rovescia il tavolo con tutto quello che c’è sopra. E
la sua maschera mefistofelica e ipersessuata, la sua furia iconoclasta, travasate
in libri furenti e provocatori, finiscono allora per sembrare il gioco furente di
qualcuno che ha deciso di dilapidare sé stesso per diventare mito.
Questo articolo è uscito su Il manifesto nel novembre del 2011