sabato 7 giugno 2014

Da leggere: Maria Barbal



Maria Barbal





Come una pietra che rotola

È uscito nel 1985 e da allora ha collezionato più di cinquantacinque edizioni in diverse lingue, tre premi importanti e diversi adattamenti teatrali, ma solo adesso Pedra de tartera, uno dei più longevi e fortunati fra i best seller in lingua catalana, appare anche in italiano (Come una pietra che rotola, Marcos y Marcos, pag. 151) nell’eccellente traduzione di Gina Maneri, che ha reso con esattezza la prosa sommessa di Maria Barbal, nata nel 1949 in un paesetto dei Pirenei e barcellonese di adozione.

A Come una pietra che rotola, il suo romanzo d’esordio, ne sono seguiti altri otto, e tuttavia, nonostante la solidità di un’opera ormai vasta e il riconoscimento tributato dalla critica ai suoi testi di più ampio respiro come Càmfora, per i lettori la Barbal resta soprattutto l’autrice di Pedra de tartera, in cui la convincentissima voce della protagonista Conxa ci racconta di sé, adolescente, ragazza e poi donna, nata e cresciuta in una Catalogna rurale che ha poco da spartire con le luci di Barcellona. Un’esistenza povera e semplice, la sua, scandita da nozze e morti, dalla fatica delle donne che crescono figli, sbrigano o dirigono ogni lavoro, tacciono e resistono. Finchè la guerra civile strappa a Conxa l’amatissimo marito, fucilato da gente feroce che parla un’altra lingua, il castellano, e a lei tocca per intero la cura di quelli che restano, in solitudine e, come sempre, in silenzio.

In centocinquanta pagine e con pochi tocchi delicati, la Barbal disegna una figura femminile a suo modo potente, e allo stesso tempo traccia il ritratto di un mondo perduto, della cui sparizione Conxa diventa il simbolo quando, ormai vecchia e rinchiusa in una oscura portineria cittadina, conclude la sua storia con una frase che è quasi un epitaffio: “Barcellona per me è una cosa molto buona. L’ultimo gradino prima del cimitero”.

 

 

Questo articolo è uscito su Il manifesto nell’ottobre del 2010