Maria Barbal |
Come una pietra che rotola
È uscito nel 1985 e da allora ha collezionato più di cinquantacinque edizioni
in diverse lingue, tre premi importanti e diversi adattamenti teatrali, ma solo
adesso Pedra de tartera, uno dei più longevi e fortunati fra i best seller
in lingua catalana, appare anche in italiano (Come una pietra che rotola,
Marcos y Marcos, pag. 151) nell’eccellente traduzione di Gina Maneri, che ha reso
con esattezza la prosa sommessa di Maria Barbal, nata nel 1949 in un paesetto dei
Pirenei e barcellonese di adozione.
A Come una pietra che rotola, il suo romanzo d’esordio, ne sono seguiti
altri otto, e tuttavia, nonostante la solidità di un’opera ormai vasta e il riconoscimento
tributato dalla critica ai suoi testi di più ampio respiro come Càmfora,
per i lettori la Barbal resta soprattutto l’autrice di Pedra de tartera,
in cui la convincentissima voce della protagonista Conxa ci racconta di sé, adolescente,
ragazza e poi donna, nata e cresciuta in una Catalogna rurale che ha poco da spartire
con le luci di Barcellona. Un’esistenza povera e semplice, la sua, scandita da nozze
e morti, dalla fatica delle donne che crescono figli, sbrigano o dirigono ogni lavoro,
tacciono e resistono. Finchè la guerra civile strappa a Conxa l’amatissimo marito,
fucilato da gente feroce che parla un’altra lingua, il castellano, e a lei
tocca per intero la cura di quelli che restano, in solitudine e, come sempre, in
silenzio.
In centocinquanta pagine e con pochi tocchi delicati, la Barbal disegna una
figura femminile a suo modo potente, e allo stesso tempo traccia il ritratto di
un mondo perduto, della cui sparizione Conxa diventa il simbolo quando, ormai vecchia
e rinchiusa in una oscura portineria cittadina, conclude la sua storia con una frase
che è quasi un epitaffio: “Barcellona per me è una cosa molto buona. L’ultimo gradino
prima del cimitero”.
Questo articolo è uscito su Il manifesto nell’ottobre del 2010