Voci
Oggi, ovviamente, le cose sono cambiate: dopo l’avvento della democrazia
il catalano ha rivendicato, non senza fatica, ostacoli e problemi, la sua
natura di lingua antica e solida, parlata da pochi milioni di persone e
tuttavia capace di produrre una letteratura di tutto rispetto, sempre più
tradotta all’estero ma ancora in buona parte da scoprire, come dimostra
un’antologia pubblicata di recente da Empúries e, in spagnolo, da Anagrama. Veus (ossia “Voci”) raccoglie infatti
pagine di romanzo, racconti e poesie di
quarantuno autori con meno di quarantuno anni, accomunati dall’uso di una
lingua “piccola, protetta gelosamente e amata da chi la parla come se fosse un
oggetto prezioso (…), una lingua che convive sempre, in qualsiasi territorio la
si parli, con altre lingue: spagnolo, italiano, francese”, scrive nel saggio
introduttivo la curatrice del volume. Curatrice che è appunto Lolita Bosch,
presenza importante nella vita culturale di Barcellona, città dove è nata nel
1970, e autrice mai tradotta in Italia nonostante la qualità e l’originalità
dei suoi libri, come Tres historias
europeas o Elisa Kiseljak
(Caballo de Troya 2004 e 2005), dal quale Judith Colell e Jordi Cadena
hanno tratto il film “Elisa K” , Premio Speciale della Giuria al Festival di
San Sebastiàn del 2010.
La sua scelta dei testi, rivendicata come soggettiva e personale,
accosta autori noti anche all’estero come Albert Sánchez Piñol (il suo racconto
Cuando caían hombres de la luna è tra
i più belli dell’antologia) ad altri eccellenti ma meno conosciuti fuori dai
confini nazionali, come Jordi Puntí e Sebastià Alzamora, fino a debuttanti come
la giovanissima Elisabet Goula e a “nuovi catalani” come Najat El Hachmi, nata
in Marocco e autrice di un best seller edito da Planeta, L’últim
patriarca (2008).
Il risultato è, come ci si può aspettare da un’antologia fin troppo
nutrita, alterno ma molto interessante: anche se i quarantuno autori non sono
sempre dello stesso livello, molti incuriosiscono, alcuni entusiasmano e quasi
tutti meritano di essere meglio conosciuti. Ma soprattutto, nonostante la
considerevole diversità dei testi, quello che emerge dalle pagine di Veus è
un filo comune nato dall’intreccio fra una relazione intima e organica con il
català – che si esprime, dice Bosch,
anche attraverso l’intenso rapporto con le voci del passato, da Mercé Rodoreda
a Llorenç Villalonga - e lo slancio verso altri luoghi, altri contesti, altre
influenze. Se la lingua è la circoscritta “terraferma” in cui i nuovi scrittori
catalani sono nati e cresciuti, è anche il luogo da cui partono per
sperimentare la natura aperta e universale della letteratura.
Questo articolo è uscito su Il Manifesto nel gennaio 2011
Questo articolo è uscito su Il Manifesto nel gennaio 2011