Jaume Cabré
Lletres Catalanes
Non
poteva esserci sfondo migliore, per la consegna a Jaume Cabré del Premi d’Honor de les Lletres
Catalanes, di quel Palau de la Musica che l'architetto Domenech, nazionalista e
indipendentista, concepì come un tempio della musica catalana e soprattutto
come luogo di riunione per una comunità profondamente cosciente della propria
identità e decisa tanto a rivendicarla quanto a custodirla. Nel ricevere il premio dalle mani di Muriel Casals,
presidentessa di Òmnium Cultural, associazione con più di quarantamila soci che
si batte per la diffusione e la difesa della cultura catalana, Cabré
ha infatti entusiasmato una
platea di oltre millecinquecento persone con un discorso in cui si afferma che
“la lingua è la patria di uno scrittore, e per me cercare di assicurarne la
sopravvivenza è un motivo in più per lavorare per l’indipendenza politica del
paese… Voglio una lingua che viva in pace, su un piede di parità, e che non
debba chiedere costantemente scusa o il permesso di esistere”.
In questa
forte presa di posizione, avvenuta dopo il rigetto dell’Estatut catalano da
parte del Tribunàl Constitucional (vero baluardo della destra spagnola) - e
solo poche settimane prima di un’immensa manifestazione di luglio cui ha
partecipato un milione e mezzo di persone, al grido di “Nosaltres decidim. Som
una naciò” - c’è tutto l’orgoglio di una
tradizione letteraria antica e solida, che aspira a essere conosciuta e
considerata in ambito internazionale. Di questa aspirazione e di questo orgoglio Cabré è oggi un esponente importantissimo e
amato, non solo per la sua ormai vasta opera letteraria (sei raccolte di
racconti, due saggi su lettura e scrittura, dieci romanzi e tre storie per
bambini) e per il suo ruolo determinante nella nascita di una fiction
televisiva in catalano - sono suoi i copioni di serie e telefilm come Crims
o La granja, la teranyina o Sara -, ma anche per l’ampia diffusione dei suoi libri all’estero.
Negli ultimi anni, infatti, i romanzi più importanti di questo autore che la motivazione del premio definisce “appartato e laborioso”, sono stati tradotti in una dozzina di lingue, e non è un caso che al Palau de la Musica sia stata Kirsten Brandt, la sua traduttrice tedesca, a pronunciare l’elogio di Cabré, che in Germania ha riscosso un successo enorme soprattutto con Les veus del Pamano, uscito anche in Italia presso la Nuova Frontiera (“Le voci del fiume”, 2007), casa editrice interamente dedicata alle letterature iberiche.
Negli ultimi anni, infatti, i romanzi più importanti di questo autore che la motivazione del premio definisce “appartato e laborioso”, sono stati tradotti in una dozzina di lingue, e non è un caso che al Palau de la Musica sia stata Kirsten Brandt, la sua traduttrice tedesca, a pronunciare l’elogio di Cabré, che in Germania ha riscosso un successo enorme soprattutto con Les veus del Pamano, uscito anche in Italia presso la Nuova Frontiera (“Le voci del fiume”, 2007), casa editrice interamente dedicata alle letterature iberiche.
E’ sempre
la Nuova Frontiera, che, dopo aver presentato nel 2009 al pubblico italiano il
magnifico “Sua Signoria” (ambientato nella Barcellona del 1799 e tuttavia
imperniato su temi sempre attuali come il potere, la corruzione, la fine di un
regime), ci offre la possibilità di leggere nella traduzione di Stefania
Ciminelli “L’ombra dell’eunuco”, romanzo su una generazione che nel ’68 aveva
da poco compiuto vent’anni e che è anche quella dell’autore, nato a Barcellona
nel 1947. In L’ombra de l’eunuc, uscito per la prima volta nel 1985,
Cabré annoda e scioglie con abilità i nodi della storia familiare il cui
prodotto ultimo è Miquel Gensana, afflitto da un perpetuo senso di colpa e
troppo attento a ciò che non ha fatto o saputo fare. Lettore e sognatore
accanito, Miquel ha trascorso l’infanzia nell’immensa casa paterna, ammaliato
dallo zio Maurici, che nella biblioteca in cui sono racchiuse le sue ragioni di
vita (i libri e il pianoforte) esercita su di lui le arti meravigliose di un
pedagogo eccentrico, iniziandolo ai misteri della letteratura e del linguaggio,
incluso quello musicale.
Più tardi
e insieme all’amico Bolòs, Miquel conosce gli anni della militanza clandestina
contro un franchismo troppo a lungo agonizzante: rigida disciplina di partito,
cellule segrete, un’obbedienza che si spinge fino alle rapine in banca e
all’esecuzione di un traditore. E poi la democrazia, il mestiere di giornalista
culturale esercitato con successo, gli amori infelici o perduti, la casa e il
patrimonio familiare che vanno in fumo, la presunta follia (o magari una forma
di estrema difesa) dello zio Maurici che si dedica ossessivamente all’origami,
creando complicate sculture di carta. E tutto questo, cioè la vita di un uomo
apparentemente senza qualità e di quanti lo hanno preceduto e accompagnato, di
quelli che lo hanno lasciato (come Bolòs, ucciso per una tardiva vendetta
politica) e di chi sarà al suo fianco in futuro, viene condensato nello spazio
di una vera e propria “cena funebre” in memoria dell’amico morto, assurdamente
celebrata in quella che un tempo era la casa dei Gensana, trasformata in un
pretenzioso ristorante alla moda.
Una
storia densa e complessa, “un romanzo
totale" che inizia e si conclude
con la parola “tutto”, al ritmo del continuo farsi e disfarsi delle
rivelazioni di Maurici, omosessuale costretto a negarsi, vittima impotente ma
anche ragno che ha involontariamente tessuto, con la sola forza delle parole e
dell’invenzione letteraria, la ragnatela delle disgrazie familiari. Una storia,
ovviamente, in cui si affacciano temi cari all’autore: la natura e l’esercizio
del potere politico, economico, familiare, la necessità della memoria, e la
stessa riflessione sulla creazione artistica (in primo luogo la musica: la
struttura di “L’ombra dell’eunuco” è modellata su quella del Concerto per
violino e orchestra di Berg) e sul suo ruolo nella vita dei singoli e della
collettività, che ha avuto inizio con Fra Junoy o l’agonia dels sons,
secondo romanzo della cosidetta “Trilogia di Feixes”. E soprattutto una storia
eccezionale non tanto e non solo per via di una trama che continuamente guida
il lettore verso un nuovo punto di svolta, una nuova sorpresa, una nuova
disposizione dei tasselli che la compongono, ma per il modo in cui è narrata.
Qui, più
che in qualsiasi altro dei suoi romanzi,
Cabré fa ricorso a una tecnica superba, ricorrendo a una voce narrante
che è quella del protagonista Miquel, ma passa di continuo (a volte nella
medesima frase) dalla prima alla terza persona e si intreccia con quella di
Maurici, incrociando piani temporali e luoghi, in un va e vieni che il lettore
segue senza sforzo e senza mai avvertire il lavoro minuzioso dell’autore, che
ha affinato la sua prosa all’estremo, fino a renderla fluida e naturale,
segnata da un’ironia che non risparmia le situazioni più drammatiche, senza
annacquarle ma inducendoci a considerare la condizione umana da altri e meno
banali punti di vista. Vale dunque la pena di confrontarsi con l’opera di un
autore catalano che ha molto da dare alla letteratura europea e internazionale,
pur restando capace di conservare appieno la propria identità culturale.
Perchè, come ha detto lo stesso Cabré in
una intervista, “non è detto che solo quanto si scrive in e su la Quinta Strada
di New York debba essere universale”.
Questo articolo è uscito su Il Manifesto
nell’ottobre del 2010