Ernesto Sabato
Sopra eroi e tombe
“Si è dimenticato di morire. Sta male. Di solito è del tutto assente.
A volte si sveglia bene, altre male e diventa tristissimo. Sta morendo di
vecchiaia, molto lentamente. Nella mia famiglia paterna le longevità è
frequente: mia nonna aveva deciso quando sarebbe morta; credo che abbia
sbagliato solo il giorno. Invece di un martedì , un mercoledi. Papà ancora non
ha deciso.”
Così il regista Mario Sabato aveva risposto al giornalista del Clarìn
che gli chiedeva di suo padre Ernesto,
vicino a compiere il secolo e per questo al centro di una serie di celebrazioni
e omaggi. Poche settimane dopo , però, Ernesto Sabato è spirato nella casa di
Santos Lugares in cui abitava dal 1945 e
dov’era morta sua moglie Matilde Kusminsky, dopo oltre sessant’anni di vita in
comune.
Là viveva da recluso, accudito come un venerabile e venerando neonato
dalle infermiere e dalla sua ultima compagna e collaboratrice Elvira González
Fraga - oggi a capo della Fundación Sabato – e da anni non lo si vedeva più
al circolo Defensores de Santos Lugares, dove da ieri pomeriggio viene vegliata
la sua salma e dove era stato proiettato il documentario “Ernesto Sabato, mio
padre”, realizzato dal figlio Mario e ricco di immagini inedite sul lungo percorso
umano e letterario di un autore che, pur avendo scritto solo tre opere di
narrativa a fronte di numerosi saggi su politica, etica, letteratura, è
considerato uno dei più grandi romanzieri contemporanei di lingua spagnola.
Ma quello che gli argentini stanno per seppellire non è solo uno
scrittore: è anche una figura pubblica che è stata al centro dell’attenzione
per il suo tenace antiperonismo mitigato dall’apprezzamento per Eva Duarte e i
suoi grasitas (El otro rostro del
peronismo, 1956), per la partecipazione insieme a Borges (suo amichevole
antagonista di sempre) a uno sciaguratissimo pranzo con il dittatore Videla, e
per il fatto di aver presieduto, finita la dittatura, la Comisión Nacional
sobre la Desaparición
de las Personas che produsse il cosidetto
“Rapporto Sabato”, criticato da più parti sia per i risultati
dell’investigazione (secondo il Rapporto, i desaparecidos sarebbero
stati poco più di 8000), sia per alcune affermazioni di Sabato sulle pari
responsabilità di destra e sinistra.
Nato a Rojas, una cittadina in provincia di Buenos Aires, lo scrittore
era figlio di immigrati lucani e, come racconta lui stesso nel suo bel libro di memorie Antes del Fin (1999), si chiamava
Ernesto per via di un fratellino appena morto e lungamente pianto dalla
madre. Ragazzo intelligentissimo e
malinconico, incline agli incubi e al sonnambulismo, terrorizzato da un padre
severo, si allontanò dalla famiglia e dal paese per studiare prima al Colegio
Nacional e poi all’università di La Plata , dove si laureò in fisica così
brillantemente da ottenere una borsa di studio all’Istituto Curie di Parigi e
un ingresso privilegiato al MIT. Nel 1940, però, già deciso a lasciare la
scienza per la letteratura, tornò in patria dove insegnò per qualche anno
all’Università, finchè nel 1943 si consumò il definitivo abbandono di una più
che promettente carriera di ricercatore e accademico.
Più di ogni cosa al mondo, Sabato voleva diventare scrittore: durante
il soggiorno parigino aveva scritto un
romanzo, La fuente muda (mai pubblicato,
e di cui restano solo i primi due capitoli, usciti sulla rivista Sur), e
nulla era riuscito a distoglierlo dalla sua vocazione, né gli anni della
ricerca scientifica né quelli di una intensa attività politica, che l’avevano
visto fondare un gruppo anarchico e poi entrare nel Partito Comunista. Scelto
come delegato al Congresso Internazionale contro il Fascismo e la Guerra presieduto da
Barbusse, per poi essere invitato a Mosca, Sabato aveva rinunciato al Partito e
alla Scuola Leninista che avrebbe dovuto frequentare, un po’ per via della sua
anima anarchica (rivendicata fino agli ultimi anni, quando aveva affermato di
credere in un “anarchismo cristiano” fatto di etica, compassione e arte), e un
po’ perché il demone della scrittura aveva cominciato a prendere possesso del
giovane scienziato.
Dal 1945 in
poi, Sabato esisterà per e nella letteratura, scrivendo incessantemente e
collaborando con assiduità a Sur, la
rivista di Victoria Ocampo, che pubblicherà non solo le sue recensioni (la
prima, del 1946, su “L’ invenzione di Morel” di Adolfo Bioy Casares) ma anche El túnel, il suo primo breve romanzo
(1948), storia di una amore così folle e geloso da sfociare nel delitto.
Rifiutato dagli editori argentini, il libro piacque a Albert Camus che lo fece
pubblicare da Gallimard, ma la vera consacrazione arrivò nel 1961, quando uscì
quella che è ritenuta una delle opere chiave della letteratura argentina e
latinoamericana: Sobre héroes y tumbas,
imponente romanzo sulla decadenza di una famiglia aristocratica, attraverso la
quale si può leggere la storia di una nazione, intravederne le pulsioni più
oscure e cogliere una visione amara e ironica non solo del primo peronismo, ma
di tutta l’America Latina e delle sue vicende politiche.
Incrociando piani narrativi e registri linguistici diversi, Sabato
racconta non solo le vicende dei Vidal Olmos e in particolare quella di
Alejandra, loro ultima discendente, violata per anni dal padre Fernando, ma
anche il delirio di quest’ultimo, narrato in prima persona nell’ Informe sobre ciegos, che, sebbene
faccia parte integrante del romanzo, è stato spesso pubblicato come racconto a
sé.
La sua terza opera di narrativa,
Abaddón el exterminador (1974), sarà ancora più pessimista e ben più
sperimentale della precedente, già così audace: una narrazione frammentata, in
cui mille fili si intrecciano per offrirci una visione apocalittica della
contemporaneità. Ma è con Sobre héroes y tumbas, testo imprescindibile per i lettori
latinoamericani, che Sabato si è conquistato tutta la gloria cui uno scrittore
può aspirare, ed è soprattutto per questo che non verrà dimenticato.
Questo articolo è uscito su Il Manifesto nell’aprile del 2010