sabato 7 giugno 2014

da leggere: Dal Masetto e Ibargüengoitia

                     
Antonio Dal Masetto                                      Jorge Ibargüengoitia


La chiaroveggenza della letteratura

Dice Mempo Giardinelli, romanziere argentino e autore di un breve saggio sulla letteratura policial y detectivesca, che il poliziesco e soprattutto il noir latinoamericani possiedono più di altri alcune caratteristiche fondamentali: per esempio sono totalmente immersi in una realtà riconoscibile, “se ne fanno carico e la discutono liberamente”, “non rappresentano mai la polizia come garante dell’ordine e della giustizia, ma, al contrario, la considerano motore dell’ingiustizia e dell’abuso di potere”, e, soprattutto, includono una forte “critica di costume o dei sistemi sociali". 

Alle osservazioni di Giardinelli si potrebbe aggiungere che oggi la letteratura noir nata in America latina è davvero audace ed eterodossa e che attraverso continue contaminazioni ha fatto saltare, quanto e più di quella nordamericana ed europea, ciò che restava delle regole del genere, stravolgendolo ma anche esplorandone tutte le possibilità e  mostrando grande originalità formale nella costruzione delle trame.
Si tratti di grandi autori come l’argentino Roberto Piglia (il suo magnifico Soldi bruciati è stato tradotto da Pino Cacucci per Guanda) che del noir hanno spesso assunto modi e forme, di collaudati giallisti come il cubano Leonardo Padura Fuentes, creatore del malinconico detective Mario Conde, o di esponenti del “realismo sporco” come il messicano Guillermo Fadanelli, per tutti vale la constatazione di Sergio Gómez, curatore insieme ad Alberto Fuguet dell’ormai celebre antologia McOndo: “In America Latina, oggi, non c’è nessun altro tipo di romanzo che si azzardi a riabilitare altrettanto gloriosamente i temi di denuncia, e che rappresenti con coraggio tutte le possibili vergogne del nostro continente”.
E’ forse per questo poderoso radicamento nella crudeltà estrema di un passato fin troppo prossimo e nei complessi scenari post apocalittici del presente che il noir latinoamericano risulta così convincente, così autentico, così feroce, sia che racconti di marginalità urbana, di detectives disillusi, di impunità poliziesca o di fredda violenza economica. Ed è suo merito, inoltre, un minuzioso lavoro sul linguaggio, più che mai necessario agli scrittori di un continente in cui la lingua corre due rischi paralleli: da una parte quello del localismo esasperato e dell’esotismo di maniera, e dall’altra quello della normalizzazione e standardizzazione inevitabilmente collegate alle necessità del mercato editoriale.
Di tutto questo il lettore italiano potrà rendersi conto una volta di più, se sarà abbastanza curioso da avvicinarsi ad alcuni romanzi latinoamericani come lo straordinario “E’ sempre difficile tornare a casa” (Einaudi, traduzione di Laura Pariani) di Antonio Dal Masetto, argentino di origine italiana - nato a Intra nel 1938, emigrato in Argentina da ragazzino - , del quale era già apparso nel 2002 “Strani tipi sotto casa” (Le Lettere), un magistrale romanzo breve ambientato nella Buenos Aires del 1978.
In questo suo romanzo del ‘92 Dal Masetto si conferma come uno degli autori argentini più importanti della sua generazione, capace di rappresentare con un linguaggio esatto, apparentemente spoglio e in realtà lavoratissimo, quella che si usa chiamare “la banalità del male”. La trama di “E’ sempre difficile tornare a casa” è semplice: quattro uomini diversi per storia e formazione, ma identicamente delusi e alle corde, arrivano a Bosque, un lindo paesetto non lontano da Buenos Aires, per rapinare la banca locale. E’ in corso una festa con tanto di discorsi, luminarie e burle cattive ai danni dello scemo del paese, e i quattro bevono, osservano, aspettano (uno vive addirittura una inattesa avventura erotica con una ragazza “bellissima e inutile”) e pensano alla mattina dopo, quella che dovrà finalmente cambiare le loro vite incerte e mettere fine ai loro fallimenti. Ma qualcosa non funziona, la rapina va male e un istante dopo si scatena una immensa caccia all’uomo che dura fino al mattino seguente e coinvolge tutti gli abitanti del luogo, preti e massaie, ricconi e ragazzini, disintegrandone il culto delle convenienze e l’apparente, apatica placidità.
Fuggendo e nascondendosi di casa in casa, i quattro rapinatori braccati scoprono a ogni tappa le nefandezze nascoste e quotidiane degli abitanti di Bosque, dove i bar, la piazza, l’unico albergo, le casette basse, le poche auto offrono una immagine di serenità suburbana e di quieto benessere, pronta a frantumarsi per mostrare un luogo senza redenzione. La rapina fallita equivale allora al gesto che, rivoltando un sasso, svela un insospettato brulicare di insetti: perché il segreto genius loci di Bosque è l’incontenibile ferocia della piccola borghesia benpensante, pronta a consumare una sacrificio umano che cancelli la perturbante alterità dei criminali venuti da fuori, dal mondo grande che esiste oltre il cerchio delle piccole abitudini e degli interessi paesani.
Libro corale fatto dell’intreccio di mille personaggi e destini, a ciascuno dei quali l’autore sa dare una voce riconoscibile, “E’ sempre difficile tornare a casa ha come un unico vero protagonista il paese stesso (al quale nel 2001 Dal Masetto ha dedicato un romanzo intitolato per l’appunto Bosque, altrettanto interessante e ancor più desolato), in apparenza così remoto eppure, ha ragione Laura Pariani,  idealmente collocato “a poca distanza dal nostro ‘profondo nord’”.
Esattamente come Dal Masetto  e come molti altri autori latinoamericani che hanno costeggiato o sfiorato il giallo o il noir,  utilizzandone le tinte forti per dipingere quadri complessi e affascinanti, anche Jorge Ibargüengoitia rinuncia a qualsiasi parvenza di detection e si concentra sul “come” e sul “perché” di un crimine nel suo “Le morte”(la precedente edizione Einaudi, uscita molti anni fa con un altro titolo, “Il caso delle donne morte”, era ormai introvabile) pubblicato da Sellerio, che ha in catalogo anche “Due delitti” e “I lampi d’agosto”, due delle opere più significative di questo scrittore, drammaturgo e giornalista messicano scomparso a cinquantacinque anni nel 1983, in un incidente aereo. In “Le morte” il lettore si troverà di fronte a una totale immersione nel noir più profondo,  nato da un autentico fatto di cronaca (l’epigrafe del libro annuncia:”Alcuni fatti qui narrati sono reali. Tutti i personaggi sono immaginari”), e cioè dalla morte per  maltrattamenti di alcune prostitute rinchiuse in un bordello di campagna. Una storia che si conclude con processi e condanne, ma solo per caso, grazie alla goffaggine di un tentato omicidio compiuto per vendicare un amore tradito che porta alla luce una vicenda ben più complessa e tragica, facendo riaffiorare cadaveri abbandonati nei burroni o inghiottiti da sepolture approssimative e clandestine. 
Complice di Serafina e Arcangela Baladro, le due sorelle che governano con mano di ferro il bordello-lager, è il capitano Bedoya, amante di Serafina, torturatore efficiente, becchino impersonale nascosto dietro un paio di occhiali neri; tuttavia in questa storia di violenza contro le donne, organizzata e pilotata da altre donne in obbedienza a leggi e desideri maschili, la sua figura quasi stereotipata di macho e di poliziotto corrotto non è quella di un protagonista. E il ruolo non tocca nemmeno a Serafina e Arcangela, avvedute mercantesse di carne e sagge amministratrici di una fortuna accumulata grazie alle copule altrui. Anche qui, infatti, a fare da protagonista è il luogo in cui i crimini vengono consumati: il bordello, universo concentrazionario che riproduce e miniaturizza, tra mura e finestre sbarrate, un mondo esterno violento e totalmente mercificato, in cui la mostruosità non è tanto un destino quanto un obbligo ”naturale” che si assolve senza pensarci.
Narrata in tono assolutamente oggettivo, in un continuo va e vieni di flashback e di fredde descrizioni orrorifiche, la storia finisce per apparirci come una crudelissima “natura morta con messicani” che rivela in controluce il filo di una terribile ironia, strumento che l’autore  sapeva maneggiare assai bene e che è la cifra distintiva della sua opera. Ma la cosa più inquietante, per i lettori di oggi, è il fatto che il romanzo sembri inevitabilmente rimandare a vicende di molto posteriori alla sua stesura, e cioè alle muertas di Ciudad Juárez, le centinaia di donne violentate, mutilate e uccise, i cui corpi sono stati abbandonati nel deserto pietroso attorno alla città.
Viene da pensare, allora, che avesse ragione lo scrittore argentino Eloy Martinez quando in un suo articolo sul quotidiano La Nación parla di inconscia “chiaroveggenza della letteratura”. O forse va semplicemente ricordato che ieri come oggi la violenza contro le donne resta, in America Latina come altrove, una piaga endemica che produce ogni anno migliaia di vittime, muertas cui nessuno fa caso e delle quali Ibargüengoitia, certo al di là delle sue stesse intenzioni, finisce per diventare lo spassionato cantore.

Questo articolo è uscito su Il Manifesto nel luglio del 2005