sabato 7 giugno 2014

Da leggere: Isaac Rosa


Isaac Rosa




 

Un vano ieri, un domani brutale 

Dopo che nel giugno 2007 la casa editrice Seix Barral e la Fundación José Manuel Lara hanno riunito a Siviglia gli scrittori spagnoli nati fra la fine degli anni ’60 e la metà dei ’70, per un convegno intitolato Atlas Literario Español, su buona parte della stampa è apparso una sorta di identikit generazionale che include un deciso individualismo e la rivendicazione della propria unicità, il rifiuto di riconoscersi in scuole o gruppi, un sostanziale disinteresse per la politica, una forte attenzione per le strategie necessarie a conquistarsi un posto al sole (e quindi a vivere di scrittura), l’indubbia influenza della nuova letteratura nordamericana e di linguaggi come il cinema, i fumetti, la pubblicità, la televisione e la musica, la tendenza a incrociare la narrativa col saggio o col reportage, un accentuato cosmopolitismo e infine una mancanza di miti e soprattutto di padri letterari che si esplicita nel rigetto di qualunque canone.

Per chi abbia letto i suoi romanzi, quindi, non è facile inserire in questo quadro certamente generico e bisognoso di puntualizzazioni (per approfondire, si vedano gli innumerevoli blog letterari spagnoli o saggi come Afterpop. La literatura de la implosión mediática, di Eloy Fernández Porta, pubblicato da Editorial Berenice) uno scrittore quale Isaac Rosa, autore del romanzo Il vano ieri (Gran Vía, pag. 330), in libreria grazie a una piccola casa editrice di Milano le cui scelte in fatto di autori contemporanei appaiono particolarmente interessanti e fuori dagli schemi.

Nato nel 1974 a Siviglia e vincitore nel 2005 di uno dei premi più importanti nel mondo di lingua spagnola (ossia il Romulo Gallegos, assegnato proprio a El vano ayer) Rosa sembra infatti discostarsi non poco dal “ritratto” tracciato durante l’Atlas, e non solo perché ha scritto un romanzo profondamente politico che, tra finzione e realtà, trova un modo originale ed efficacissimo di raccontare il franchismo degli anni ’60 e di collegare passato e presente, smitizzando la transizione alla democrazia e la sua presunta “innocenza” e indicando una serie di dolorosi residui, di segni che rivelano il terribile imprinting lasciato dalla dittatura sulla società spagnola e sulle sue istituzioni.

Anche dal punto di vista formale, infatti, Rosa sembra assai meno sensibile degli scrittori suoi coetanei all’influsso della cultura pop o della letteratura nordamericana: privilegia piuttosto la lezione degli autori di generazioni precedenti alla sua, come Cortázar, del quale sembra aver letto con attenzione 62 Modelo para armar (1968), e a cui rende omaggio attribuendo a uno dei personaggi principali il nome di Julio Denis, che lo scrittore argentino aveva usato come pseudonimo all’inizio della sua carriera.

Come 62 Modelo para armar, anche El vano ayer (pubblicato in Spagna da Anagrama) è una novela en marcha, ossia un romanzo in divenire che si fa e si disfa sotto i nostri occhi secondo la volontà di un autore che espone dubbi e ipotesi, presenta due versioni dello stesso fatto che corrono parallele lungo la pagina, cerca di evitare strade già battute oppure le imbocca sfacciatamente, disegna sviluppi che poi smentisce e ribalta, riordina pezzi sparsi tentando varie combinazioni. Alla voce di un narratore anonimo si alternano, incrociandosi, quelle di testimoni e personaggi che, con una notevole varietà di toni e registri, raccontano a propria volta brandelli di realtà e ne forniscono interpretazioni diverse o addirittura opposte. Il tutto ruota attorno alla quasi contemporanea scomparsa di un leader studentesco, giovane comunista che si è costruito una immagine eroica di sé stesso e ci crede così fermamente da imporla agli altri, e di un anziano professore che attraverso la non partecipazione ribadisce la sua estraneità al mondo che lo circonda. I due si conoscono appena, ma la polizia (che arresterà il primo e spedirà il secondo in esilio) individua tra loro un legame così tenue e casuale che solo la stolidità del repressore può trasformarlo in prova e accusa.

L’intero romanzo (la cui traduzione si deve ad Annabella Cardinali) è un lungo tentativo di scoprire o semplicemente immaginare che ne è stato di studente e professore, in modo così brillante e con tanta audacia stilistica e passione civile da apparirci come la prova di uno scrittore già maturo, che è riuscito a dire qualcosa di nuovo su un tema largamente e a volte astutamente sfruttato dalla letteratura spagnola contemporanea, per ricordarci che “il vano ieri può generare un domani vuoto, ma non è detto che il brutale ieri debba proseguire in un domani brutale”.

 

 Questo articolo è uscito su Il manifesto nel marzo del 2007