Enrique Serna
Un romanzo maledetto
In Messico, come in tutta l’America Latina, la novela negra ha visto crescere le proprie fortune a partire dagli anni ’70, quando la letteratura di genere pareva l’unico spazio in cui fosse ancora possibile praticare un minimo di critica sociale in contesti repressivi. Oltre a mettere in piedi un enigma degno di tale nome, quindi, era fondamentale saperlo innestare in una realtà riconoscibile e disegnata senza la minima compiacenza. In questo senso la novela negra messicana oltrepassa i confini del genere e si propone come autentico romanzo realista della seconda metà del novecento, fondato su un duro discorso di confronto con il potere e praticato non solo da autori “specializzati”, ma anche da parecchi insospettabili (perfino Carlos Fuentes ci si è cimentato).
Non a caso Paco Taibo, uno dei più noti fra gli
autori messicani di “romanzi criminali”, sostiene che i noir scritti nel suo paese sono intrinsecamente di sinistra e che a
determinarne il successo sono stati autori appartenenti a una generazione di
“trasgressori molto politicizzati, furibondi con il sistema. Il risultato è
stato una novela negra alla
messicana, ossia un poliziesco in cui i poliziotti sono figli di puttana e
tutti gli altri sono i buoni”.
La definizione è divertente, ma, tenuto conto
della mutazione che questo tipo di romanzo ha subìto dagli anni novanta a oggi,
si dovrebbe correggerla per avvenuta scomparsa dei “buoni”. Il gioco sembra ormai diventato un “cattivi
contro cattivi” senza esclusione di colpi, che genera piccole epopee violente e
vitali, spesso illuminate da uno humour nero estremo ma salutare, e sempre
inclini a scivolare verso una commistione di generi libera da ogni vincolo. Un
esempio perfetto di questa novela negra
cattivissima e irridente è “La paura
degli animali” (Voland) di Enrique Serna, un autore da noi quasi ignoto
ma che rappresenta una vera scoperta, e che Raul Schenardi ha ottimamente
tradotto in italiano, rendendo con abilità una scrittura veloce e rude, non
aliena dal satireggiare quella dell’hard boiled classico.
Di Serna, nato a Ciudad de México nel 1959, i lettori italiani conoscevano finora
soltanto “Angeli dell’Abisso” (edizioni
e/o), fluviale romanzo dalla complessa trama a sfondo storico ambientata nel
Messico del XVII secolo, e, anche se l’autore non è nuovo a opere di questo
tipo (nel 1999 ne ha pubblicata una altrettanto imponente, intitolata El
seductor de la patria e dedicata agli anni della dittatura di Santa Ana),
il resto della sua produzione è però molto diverso: Serna, infatti, viene
innanzitutto considerato un maestro del racconto e un romanziere sarcastico e
iconoclasta, capace di sovvertire e
disintegrare tutti i luoghi comuni e gli stereotipi della “messicanità”, come
ha fatto in Uno soñaba que era rey (1989) e Señorita México
(1991), nei quali i meccanismi della novela
negra vengono riutilizzati con la massima libertà insieme a personaggi e
situazioni mutuati dalla cultura popolare più bassa ( giornali
scandalistici, telenovelas, TV spazzatura).
In “La paura degli animali”
(dove “animali” sta per poliziotti), che è del 1995, il medesimo meccanismo
viene messo a punto e fatto funzionare impeccabilmente a partire da una frase
di Balzac, unica citazione di tutto il libro e suo perfetto riassunto: “Non c’è
gran differenza tra il mondo politico e quello letterario. In entrambi i mondi
incontrerai solo due tipi di uomini: i corruttori e i corrotti”. Seguendo il
filo di un costante parallelismo tra il funzionamento della vita politica e di
quella culturale, Serna racconta con abbondante ed esilarante perfidia la
storia di un antieroe, Evaristo Reyes, giornalista fallito che si è arruolato
nella polizia giudiziaria con la speranza (o l’illusione) di scrivere un
romanzo-inchiesta alla Truman Capote, e poi è rimasto intrappolato in un impiego fisso che gli costa frustrazioni e
complicità umilianti, esponendolo alle fantasiose angherie del suo capo
Maytorena, un sanguinario cocainomane con il vizio dei travestiti.
Forse per un residuo senso di dignità e di solidale compassione, Reyes
decide di salvare Roberto Lima, scrittore che nessuno legge e autore di
articoli sovversivi, ma si ritrova di fronte al suo brutale omicidio, che però
non è opera della polizia ma di un assassino misterioso. E sarà per cercare il
colpevole che Evaristo penetrerà nei più esclusivi circoli letterari della
capitale, scoprendo una serie di nefandezze che gli faranno considerare
l’ambiente della Policia Judicial come una boccata d’aria pura: di sorpresa in
sorpresa, l’autore porta il suo personaggio sulla soglia prima della rovina e
poi del riscatto, riservando al lettore un brillante colpo di scena finale.
Novela negra perfettamente riuscita e allo stesso tempo
parodia della medesima, “La paura
degli animali” è stata definita da qualcuno il “romanzo maledetto” di
Serna: maledetto da tutto il mondo culturale messicano, ovviamente, perchè si
tratta di una furibonda storia a chiave popolata dalle caricature grottesche e
riconoscibili di scrittori, giornalisti e poeti. Nel corso del suo viaggio allucinato
all’interno delle “belle lettere“ e dell’editoria messicane, del resto, Serna
non risparmia nessuno e niente: simulazione, corruzione, ipocrisia sono le
tappe della corsa verso il successo e i primi posti nelle classifiche, insomma
verso un potere che prescinde dalla qualità letteraria e si fonda sulla
vendibilità di un’immagine abilmente costruita, quanto su una rete di relazioni
e favori quasi mafiosi.
Paradossale e portato all’estremo, questo quadro del mondo letterario
tracciato da un autore che in fin dei conti ne fa parte non esclude affatto,
tuttavia, la constatazione che la letteratura è e resta uno dei motivi per cui
vale la pena di vivere, come Evaristo scopre quando lo rinchiudono in carcere,
accusandolo dello stesso delitto su cui ha indagato. E’ in prigione, infatti,
che scriverà un romanzo destinato a diventare un caso e nel quale narra la sua
indagine: quello stesso romanzo che il
lettore ha appena concluso e che parla finalmente della vera verità, quella che
si può dire soltanto attraverso una storia perché, come tutti sanno, quasi mai
risulta credibile. “La paura degli animali” è anche questo, un romanzo sul
complesso rapporto tra verità e menzogna, e non è un caso che ci arrivi proprio
dal Messico, un paese che ha da sempre un profondo bisogno di riconoscersi in un “racconto” diverso da
quello ufficiale, costruito su complicità innumerevoli che stravolgono e
occultano i fatti per trasformarli in una fiction funzionale al potere politico
ed economico. Non per niente, spiegando in un articolo la genesi del suo Las
caricaturas me hacen llorar (1996), Serna ha scritto che “da qualche tempo
il giornalismo si è trasformato in un genere narrativo per la leggerezza di
molti giornalisti che si vantano di essere intimi delle alte sfere del potere
(come se questo fosse un riconoscimento della loro bravura) e pretendono di
conoscere di prima mano tutto quello che si dice nell’ufficio, nell’alcova e
nel cesso del Signor Presidente. Se i giornalisti fanno letteratura, noi
scrittori abbiamo diritto a cercare la verità alla nostra maniera”.
Questo articolo è uscito su Il
Manifesto nel febbraio 2006