Roberto Arlt |
Un gorgo senza fondo
Nel corso della sua breve vita (1900-1942), Roberto Artl ha scritto incessantemente,
con quella “forza di conservare sino all’ultimo la disponibilità all’incertezza
che è condizione essenziale dei capolavori”, riconosciuta in lui da Juan José Saer.
Un’opera imponente, inclassificabile e fuori da ogni canone, la sua, alla quale
il lettore italiano si è avvicinato soprattutto attraverso i quattro romanzi (L’amore
stregone, l’ultimo e il meno noto, è uscito per la prima volta quest’anno presso
Intermezzi), mentre restano da tradurre gli innumerevoli racconti – a eccezione
dell’ormai introvabile raccolta Le belve, la cui ultima edizione è quella
di Baroni del 2002 –, i testi teatrali e infine le Aguafuertes porteñas,
esempio straordinario di giornalismo narrativo che fortunatamente sta per essere
antologizzato dall’editore Del Vecchio.
Tanto più interessante risulta dunque l’ultima proposta di Arcoiris, minuscola
casa editrice salernitana che, nella sua sorprendente collanina di testi brevi dedicata
a “Gli eccentrici” delle letterature latinoamericane, inserisce una nouvelle dell’autore
argentino intitolata Un viaggio terribile (pag. 95 e. 10; la bella traduzione,
la prima nella nostra lingua, è di Raul Schenardi, cui si deve anche la postfazione),
scritta nel 1941 e pubblicata lo stesso anno: una storia bizzarra che, pur riprendendo
ossessioni e motivi tipici di Arlt (la violenza, la presenza del male, la ricerca
della felicità, la passione quasi ingenua per la scienza), non mancherà di stupire
chi ha letto I sette pazzi o Il giocattolo rabbioso.
Proprio come nelle esotiche storie riunite in El creador de gorilas (1941)
e ambientate in un’Africa in buona parte immaginaria, in Un viaggio terribile
Arlt sembra allontanarsi dal realismo allucinato delle sue opere più note, nonché
smentire l’opinione comune che lo vuole scrittore irreparabilmente argentino, anzi
porteño, la cui luce, nota Cortazár, “si concentra e si limita all’interno del perimetro
di una Buenos Aires che nessuno conosce meglio di lui”. Lasciandosi alle spalle
la città che è protagonista e sfondo di gran parte della sua narrativa, qui l’autore
esce letteralmente in mare aperto per raccontare il viaggio di un allegro truffatore
costretto a imbarcarsi su una sorta di “nave dei folli” fin troppo allegorica, popolata
da passeggeri che rappresentano altrettanti tipi caratteristici (il sacerdote presbiteriano
ottuso e razzista, la devota zitella scozzese, la donna sensuale e disinibita, l’arabo
lussurioso) e incarnano i difetti e i tic della borghesia, mentre l’improbabile
equipaggio rimanda al popolo dei bassifondi presente in tante opere di Arlt. Disseminato
di incidenti misteriosi, di furti, di amori nascenti, di manoscritti perduti, di
baldorie celebrate sull’orlo del disastro, il viaggio sfiora la tragedia quando,
in pieno oceano, la nave rischia di venire inghiottita da un gigantesco vortice,
un maelstrom di ignota origine che suscita un terrore incontrollato tra i viaggiatori;
e, se un salvataggio in extremis non mancherà, il finale sarà segnato da perdite
e sorprese amare.
Nel corso del racconto il “realista” Arlt si avvicina sempre di più al fantastico,
lo costeggia, lo sfiora, come già in altri testi in cui pare aver presente la lezione
di Horacio Quiroga, da lui indicato come il suo cuentista preferito in un’intervista
del 1929; ma non c’è dubbio che ancora più percettibile sia l’eco della letteratura
popolare e dei suoi “fascicoli variopinti” citati nell’incipit di Il giocattolo
rabbioso, indimenticabili avventure di carta cui si sovrappongono le impressioni
registrate durante i rari e rapidi viaggi come inviato in Cile, Spagna, Marocco.
La nota più insolita (ma non troppo, per gli attenti lettori di Arlt e soprattutto
per chi conosce il suo teatro sospeso tra crudeltà, farsa e grottesco) sta però
nell’esercizio di uno humour nerissimo e senza freni, che si prende gioco di tutti
i personaggi e perfino dello stesso autore, la cui attività di inventore senza fortuna
si riflette nella pazzia della incantevole Annie, falso ingegnere chimico e autentico
folle. Come sempre capace di spiazzare, Arlt riesce a rendere comica e quasi surreale
la scena di un linciaggio, e anche qui smentisce una volta di più coloro che gli
rimproveravano di “scrivere male” o che, come Onetti e Cortazár, si affrettavano
a perdonarglielo: un luogo comune da cancellare, alla luce di uno stile diretto,
denso di immagini e più che mai contemporaneo.
Questo articolo è uscito su Il manifesto nel giugno del 2014