Ossa rivelatrici
Due scheletri abbandonati e senza nome, che, oltre ad appartenere a giovani
maschi della medesima età e struttura fisica, hanno in comune una stranezza: a entrambi
manca una costola, quella posta immediatamente davanti al cuore. Una coincidenza
troppo singolare perché colui che l’ha notata (uno scienziato e intellettuale dalla
poliedrica curiosità) non fiuti odore di delitto e cominci ad accumulare indizi
che lo porteranno alla scoperta di una terza vittima, la cui tipologia coincide
con quella delle prime due. E finalmente, con l’aiuto di un collega che provvederà
a una attenta “lettura” delle ossa, l’insolito detective riuscirà a scovare il serial
killer del quale ha seguito la pista attraverso tutta la città, raccogliendo infinitesimali
brandelli di prove (un pezzetto di carta, una traccia di profumo) e confidando nella
“applicazione dei principi generali della medicina legale, che è una vera e propria
scienza”.
Raccontato così, può sembrare il plot di un episodio di CSI: Scena del Crimine
o di una delle sue tante varianti, che ci hanno abituato alla vista di laboratori
affollati di strumenti e macchine pronti a sputare il nome del colpevole, o di cadaveri
sottilmente affettati e organi interni sciorinati sui banconi come gli ingredienti
di un gigantesco ragù. Il frenetico inseguimento dell’assassino che firma i suoi
crimini con l‘asportazione della quarta costola non si svolge, però, all’epoca di
Virgil Grissom e Temperance Brennan, ma ci rimanda alla fine del XIX secolo, e precisamente
al 1896, anno in cui venne pubblicato a Buenos Aires il romanzo breve La bolsa
de huesos, considerato uno dei primi gialli argentini e firmato da una eclettica
personalità della cultura nazionale: Eduardo Ladislao Holmberg (1852-1937), figlio
e nipote di militari di origine austriaca, medico che non aveva mai voluto esercitare
la professione “per non arricchirsi col dolore degli altri” e si era quindi dedicato
alla botanica, alla zoologia, alla mineralogia e alla geologia, divenendo uno dei
più insigni studiosi di scienze naturali del continente, specialmente noto nella
capitale per aver creato e diretto un giardino zoologico provvisto di fantasiosi
ricoveri che rimandavano all’ambiente d’origine degli animali.
Proposta oggi dalla piccola casa editrice salernitana Arcoiris col titolo di
Le ossa (pag. 114), nella brillante traduzione di Agnese Guerra e a cura
di Loris Tassi (autore delle esaurienti note di accompagnamento), questa bizzarra
e anticipatoria nouvelle che coniuga modernamente scienza e delitto può sembrare
poco più di una curiosità letteraria, che gli appassionati del poliziesco – e non
soltanto loro – leggeranno con indubbio divertimento e stupore. Ma, a guardare meglio,
quello di Holmberg sembra tanto il racconto di un’indagine, quanto un invito a indagare
sul testo e su chi l’ha scritto, in un intrecciarsi di rimandi suggestivi.
Le ossa, com’è ovvio, è innanzitutto lo specchio
fedele della singolare personalità del suo autore: come lui, il protagonista e voce
narrante del romanzo è uno scienziato dagli innumerevoli interessi che compie frequenti
spedizioni per studiare la flora e la fauna di luoghi quasi inesplorati, ma è anche
un umanista che produce romanzi e racconti nati da un’immaginazione sbrigliata (l’opera
letteraria di Eduardo Holmberg, che va di pari passo con l’enorme mole di scritti
scientifici, affronta generi come il racconto fantastico, il giallo e la fantascienza:
il suo racconto Horacio Kalibanlčg o los autómates, del 1879, sembra preannunciare
con largo anticipo i robot di Karel Čapek). L’investigazione in cui coinvolge
l’amico Manuel, anche lui scienziato, ha quindi una duplice valenza: quella di riaffermare
l’importanza e il ruolo di una scienza “che può conquistare qualsiasi campo, perché
è il luogo privilegiato dell’intelligenza” e che in quanto tale finisce per trasformare
in detective chi la pratica, e quella letteraria, destinata a sfociare nella stesura
di un romanzo appassionante, concluso da un colpo di scena che permette al colpevole
di sfuggire “all’artiglio della giustizia” e al tempo stesso gli somministra una
punizione ben più “estetica” e romantica di quella prevista dalla legge.
Curiosamente, anche gli immediati predecessori di Holmberg, che insieme a lui
vengono considerati i fondatori del poliziesco argentino, non erano scrittori di
professione, ma pregevoli dilettanti: Paul Groussac, autore del racconto La pesquisa
– apparso prima nel 1884 come El candado de oro, e poi ripubblicato nel 1897
col nuovo titolo – era soprattutto uno storico, un erudito bibliotecario e critico
letterario, che Borges citerà spesso; Luis Varela, che firmava con lo pseudonimo
di Raúl Waleis romanzi polizieschi a puntate ambientati a Parigi, come La huella
del crimen (1877), era un magistrato con una vasta e importante opera giuridica
al suo attivo.
Tutti e tre, insomma, facevano parte di quella borghesia intellettuale argentina
che considerava la letteratura un passatempo adatto ai gentiluomini, quasi un gioco
(e infatti, nel prologo a La bolsa de huesos, Holmberg definisce il suo romanzo
“un giocattolo poliziesco”), ma, a differenza degli altri due, Holmberg sembra assai
poco influenzato dalla letteratura gialla francese e inglese, come pure da Poe,
e la sua opera risulta infinitamente più “argentina” grazie all’inequivocabile sfondo
bonaerense, e assai più moderna e proiettata verso il futuro, come dimostra l’attenzione
al mutare dei metodi di indagine.
Proprio in quegli anni e proprio a Buenos Aires, del resto, Juan Vucetich, nato
in Dalmazia ma naturalizzato argentino, aveva creato la dattiloscopia e preso le
prime impronte digitali della storia: un metodo di indagine che nel 1894 venne adottato
dalla polizia di Buenos Aires e si diffuse lentamente in tutto il mondo (di impronte
digitali, tra l’altro, Holmberg parlerà in un altro suo racconto). Il bisbetico
Watson che accompagna il protagonista, inoltre, pratica con abilità quasi divinatoria
la frenologia, ovvero una di quelle pseudoscienze che, come l’antropometria di Bertillon,
sia pure tra errori, equivoci di ogni genere e indubbie derive razziste, sembrano
annunciare la futura antropologia forense.
È soprattutto nel disegnare il misterioso personaggio di Clara, però, che Holmberg
supera in audacia e originalità i suoi precursori: questa damigella en travesti,
padrona di se stessa e del proprio destino, che possiede conoscenze mediche superiori
e rivoluzionarie, sembra farci presente che giusto allora le prime studentesse in
medicina (e le prime femministe!) avevano fatto la loro apparizione all’Università
di Buenos Aires, suscitando infinite polemiche. Benché Holmberg fosse un laico positivista,
protoambientalista, pronto a incitare la società e i suoi colleghi ad aprirsi al
nuovo, in una parola un progressista, vediamo che non esita a liquidare la bellissima
Clara, colpevole di aver rifiutato i ruoli femminili consacrati, come una nevrotica,
una malata: nessun dubbio che il buon Eduardo Ladislao conoscesse Charcot e i suoi
studi sull’isteria femminile. Il che non impedisce che Clara (capostipite delle
donne e fanciulle criminali del romanzo poliziesco argentino di cui ci parla Josefina
Ludmer in El cuerpo del delito. Un manual, Perfil 1999) venga guardata con
simpatia dal suo autore, che si premura di ricondurla all’unica condizione “degna”
per una donna, quella di madre, ma prima le concede una libertà e un’autonomia raramente
consentite ai personaggi letterari femminili dell’epoca.
Già padrone dei meccanismi della suspense, in grado di tenere sulla corda il
lettore e di catturarne l’attenzione, ma ben deciso a istruirlo (sia pure per sommi
capi) sui benefici e l’importanza del sapere scientifico (un’importanza superiore
perfino a quella della legge), l’Holmberg di Le ossa non ignora le influenze
europee, ma con tutta evidenza è in cerca di una voce autonoma, cosmopolita e “locale”
allo stesso tempo. Il suo romanzo si può considerare, perciò, una delle pietre fondanti
del poliziesco argentino, che ne corso del tempo ha sviluppato caratteristiche proprie,
riflettendo, nelle sue diverse declinazioni, l’evoluzione della società e della
cultura di una nazione la cui “storia nera” ha spesso trasformato il romanzo criminale
in riconoscibile metafora politica. Dal primo e riuscito esperimento di Eduardo
Holmberg è passato più di un secolo, e innumerevoli “corpi del delitto” si sono
accumulati sugli scaffali delle biblioteche, simili a ombre che continuano a tornare
e non mancano di evocarne altre, ben più inquietanti di quelle di carta e inchiostro:
vale sicuramente la pena di conoscerle e di ascoltarne la voce, soprattutto perché
a prestargliela sono spesso scrittori che, pur non disdegnando il genere, vanno
ben al di là dei suoi confini , non esitano a infrangerne i canoni o a servirsene
per fini diversi , da Quiroga a Arlt, da Borges a Bioy Casares, da Puig a Saer a
Piglia, fino ai giovani maestri non ancora noti ai lettori italiani, come Patricio
Pron o Felix Bruzzone. E a loro si affiancano, da non perdere, coloro che, come
Holmberg, si collocano in una zona splendidamente marginale, quella dei raros,
degli eccentrici che sfuggono a ogni convenzione e definizione: una “specialità”
della letteratura argentina e latinoamericana, che non finisce di riservare magnifiche
sorprese.
Questo articolo è uscito su Il manifesto nel gennaio del 2013