sabato 7 giugno 2014

Da leggere: Eduardo Ladislao Holmberg


Eduardo Ladislao Holmberg 



Ossa rivelatrici

Due scheletri abbandonati e senza nome, che, oltre ad appartenere a giovani maschi della medesima età e struttura fisica, hanno in comune una stranezza: a entrambi manca una costola, quella posta immediatamente davanti al cuore. Una coincidenza troppo singolare perché colui che l’ha notata (uno scienziato e intellettuale dalla poliedrica curiosità) non fiuti odore di delitto e cominci ad accumulare indizi che lo porteranno alla scoperta di una terza vittima, la cui tipologia coincide con quella delle prime due. E finalmente, con l’aiuto di un collega che provvederà a una attenta “lettura” delle ossa, l’insolito detective riuscirà a scovare il serial killer del quale ha seguito la pista attraverso tutta la città, raccogliendo infinitesimali brandelli di prove (un pezzetto di carta, una traccia di profumo) e confidando nella “applicazione dei principi generali della medicina legale, che è una vera e propria scienza”.

Raccontato così, può sembrare il plot di un episodio di CSI: Scena del Crimine o di una delle sue tante varianti, che ci hanno abituato alla vista di laboratori affollati di strumenti e macchine pronti a sputare il nome del colpevole, o di cadaveri sottilmente affettati e organi interni sciorinati sui banconi come gli ingredienti di un gigantesco ragù. Il frenetico inseguimento dell’assassino che firma i suoi crimini con l‘asportazione della quarta costola non si svolge, però, all’epoca di Virgil Grissom e Temperance Brennan, ma ci rimanda alla fine del XIX secolo, e precisamente al 1896, anno in cui venne pubblicato a Buenos Aires il romanzo breve La bolsa de huesos, considerato uno dei primi gialli argentini e firmato da una eclettica personalità della cultura nazionale: Eduardo Ladislao Holmberg (1852-1937), figlio e nipote di militari di origine austriaca, medico che non aveva mai voluto esercitare la professione “per non arricchirsi col dolore degli altri” e si era quindi dedicato alla botanica, alla zoologia, alla mineralogia e alla geologia, divenendo uno dei più insigni studiosi di scienze naturali del continente, specialmente noto nella capitale per aver creato e diretto un giardino zoologico provvisto di fantasiosi ricoveri che rimandavano all’ambiente d’origine degli animali.

Proposta oggi dalla piccola casa editrice salernitana Arcoiris col titolo di Le ossa (pag. 114), nella brillante traduzione di Agnese Guerra e a cura di Loris Tassi (autore delle esaurienti note di accompagnamento), questa bizzarra e anticipatoria nouvelle che coniuga modernamente scienza e delitto può sembrare poco più di una curiosità letteraria, che gli appassionati del poliziesco – e non soltanto loro – leggeranno con indubbio divertimento e stupore. Ma, a guardare meglio, quello di Holmberg sembra tanto il racconto di un’indagine, quanto un invito a indagare sul testo e su chi l’ha scritto, in un intrecciarsi di rimandi suggestivi.

Le ossa, com’è ovvio, è innanzitutto lo specchio fedele della singolare personalità del suo autore: come lui, il protagonista e voce narrante del romanzo è uno scienziato dagli innumerevoli interessi che compie frequenti spedizioni per studiare la flora e la fauna di luoghi quasi inesplorati, ma è anche un umanista che produce romanzi e racconti nati da un’immaginazione sbrigliata (l’opera letteraria di Eduardo Holmberg, che va di pari passo con l’enorme mole di scritti scientifici, affronta generi come il racconto fantastico, il giallo e la fantascienza: il suo racconto Horacio Kalibanlčg o los autómates, del 1879, sembra preannunciare con largo anticipo i robot di Karel Čapek). L’investigazione in cui coinvolge l’amico Manuel, anche lui scienziato, ha quindi una duplice valenza: quella di riaffermare l’importanza e il ruolo di una scienza “che può conquistare qualsiasi campo, perché è il luogo privilegiato dell’intelligenza” e che in quanto tale finisce per trasformare in detective chi la pratica, e quella letteraria, destinata a sfociare nella stesura di un romanzo appassionante, concluso da un colpo di scena che permette al colpevole di sfuggire “all’artiglio della giustizia” e al tempo stesso gli somministra una punizione ben più “estetica” e romantica di quella prevista dalla legge.

Curiosamente, anche gli immediati predecessori di Holmberg, che insieme a lui vengono considerati i fondatori del poliziesco argentino, non erano scrittori di professione, ma pregevoli dilettanti: Paul Groussac, autore del racconto La pesquisa – apparso prima nel 1884 come El candado de oro, e poi ripubblicato nel 1897 col nuovo titolo – era soprattutto uno storico, un erudito bibliotecario e critico letterario, che Borges citerà spesso; Luis Varela, che firmava con lo pseudonimo di Raúl Waleis romanzi polizieschi a puntate ambientati a Parigi, come La huella del crimen (1877), era un magistrato con una vasta e importante opera giuridica al suo attivo.

Tutti e tre, insomma, facevano parte di quella borghesia intellettuale argentina che considerava la letteratura un passatempo adatto ai gentiluomini, quasi un gioco (e infatti, nel prologo a La bolsa de huesos, Holmberg definisce il suo romanzo “un giocattolo poliziesco”), ma, a differenza degli altri due, Holmberg sembra assai poco influenzato dalla letteratura gialla francese e inglese, come pure da Poe, e la sua opera risulta infinitamente più “argentina” grazie all’inequivocabile sfondo bonaerense, e assai più moderna e proiettata verso il futuro, come dimostra l’attenzione al mutare dei metodi di indagine.

Proprio in quegli anni e proprio a Buenos Aires, del resto, Juan Vucetich, nato in Dalmazia ma naturalizzato argentino, aveva creato la dattiloscopia e preso le prime impronte digitali della storia: un metodo di indagine che nel 1894 venne adottato dalla polizia di Buenos Aires e si diffuse lentamente in tutto il mondo (di impronte digitali, tra l’altro, Holmberg parlerà in un altro suo racconto). Il bisbetico Watson che accompagna il protagonista, inoltre, pratica con abilità quasi divinatoria la frenologia, ovvero una di quelle pseudoscienze che, come l’antropometria di Bertillon, sia pure tra errori, equivoci di ogni genere e indubbie derive razziste, sembrano annunciare la futura antropologia forense.

È soprattutto nel disegnare il misterioso personaggio di Clara, però, che Holmberg supera in audacia e originalità i suoi precursori: questa damigella en travesti, padrona di se stessa e del proprio destino, che possiede conoscenze mediche superiori e rivoluzionarie, sembra farci presente che giusto allora le prime studentesse in medicina (e le prime femministe!) avevano fatto la loro apparizione all’Università di Buenos Aires, suscitando infinite polemiche. Benché Holmberg fosse un laico positivista, protoambientalista, pronto a incitare la società e i suoi colleghi ad aprirsi al nuovo, in una parola un progressista, vediamo che non esita a liquidare la bellissima Clara, colpevole di aver rifiutato i ruoli femminili consacrati, come una nevrotica, una malata: nessun dubbio che il buon Eduardo Ladislao conoscesse Charcot e i suoi studi sull’isteria femminile. Il che non impedisce che Clara (capostipite delle donne e fanciulle criminali del romanzo poliziesco argentino di cui ci parla Josefina Ludmer in El cuerpo del delito. Un manual, Perfil 1999) venga guardata con simpatia dal suo autore, che si premura di ricondurla all’unica condizione “degna” per una donna, quella di madre, ma prima le concede una libertà e un’autonomia raramente consentite ai personaggi letterari femminili dell’epoca.

Già padrone dei meccanismi della suspense, in grado di tenere sulla corda il lettore e di catturarne l’attenzione, ma ben deciso a istruirlo (sia pure per sommi capi) sui benefici e l’importanza del sapere scientifico (un’importanza superiore perfino a quella della legge), l’Holmberg di Le ossa non ignora le influenze europee, ma con tutta evidenza è in cerca di una voce autonoma, cosmopolita e “locale” allo stesso tempo. Il suo romanzo si può considerare, perciò, una delle pietre fondanti del poliziesco argentino, che ne corso del tempo ha sviluppato caratteristiche proprie, riflettendo, nelle sue diverse declinazioni, l’evoluzione della società e della cultura di una nazione la cui “storia nera” ha spesso trasformato il romanzo criminale in riconoscibile metafora politica. Dal primo e riuscito esperimento di Eduardo Holmberg è passato più di un secolo, e innumerevoli “corpi del delitto” si sono accumulati sugli scaffali delle biblioteche, simili a ombre che continuano a tornare e non mancano di evocarne altre, ben più inquietanti di quelle di carta e inchiostro: vale sicuramente la pena di conoscerle e di ascoltarne la voce, soprattutto perché a prestargliela sono spesso scrittori che, pur non disdegnando il genere, vanno ben al di là dei suoi confini , non esitano a infrangerne i canoni o a servirsene per fini diversi , da Quiroga a Arlt, da Borges a Bioy Casares, da Puig a Saer a Piglia, fino ai giovani maestri non ancora noti ai lettori italiani, come Patricio Pron o Felix Bruzzone. E a loro si affiancano, da non perdere, coloro che, come Holmberg, si collocano in una zona splendidamente marginale, quella dei raros, degli eccentrici che sfuggono a ogni convenzione e definizione: una “specialità” della letteratura argentina e latinoamericana, che non finisce di riservare magnifiche sorprese.

 

 

Questo articolo è uscito su Il manifesto nel gennaio del 2013